Gli Stati Uniti con il fiato sospeso in attesa del D-day dei dazi di Donald Trump, che verranno annunciati in queste ore, dopo la chiusura della borsa di Wall Street. Il presidente ha assicurato che sarà “gentile” nell’imposizione delle nuove tariffe senza però sbilanciarsi sui contenti del suo piano d’azione. Il piano di Trump, è ancora nebuloso, e questo è uno dei vari motivi di grande nervosismo dei mercati. Quello che sembra certo è che i dazi che entreranno in vigore fin da subito sulle merci importate dal resto del mondo negli Stati Uniti, saranno reciproci e avranno effetto immediato.    

Fra le ipotesi presentate al tycoon dal suo staff c’è quella di dazi universali al 20%. Un’idea - ha avvertito il capo economista di Moody’s Analytic Mark Zandi - che, se si concretizzasse, rischierebbe nel peggiore degli scenari di far scivolare l’economia americana, facendo schizzare il tasso di disoccupazione al 7,3% e causando la perdita di cinque milioni di posti di lavoro entro gli inizi del 2027.

L’altra ipotesi è quella dei dazi reciproci per tutti i Paesi da eventualmente negoziare con gli interessati. Un approccio, questo, che affronterebbe direttamente il problema delle pratiche commerciali sleali ma che - è il dubbio che aleggia fra alcuni funzionari della Casa Bianca - potrebbe scoraggiare le grandi aziende internazionali a effettuare nuovi investimenti negli Stati Uniti perché non offrirebbe certezze né sull’ammontare né sulla durata delle tariffe. 

Non è escluso che Trump possa comunque optare per un sistema ‘misto’, con tre livelli di dazi mirati a singoli Paesi o gruppi.   Oltre ai dazi reciproci per i Paesi, Trump potrebbe svelare ulteriori imposte specifiche per settore, come quelle sui prodotti farmaceutici e sui semiconduttori. 

Le imposte potrebbero colpire il 15% dei partner che hanno persistenti squilibri commerciali con gli Stati Uniti, il gruppo che il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha soprannominato i “Dirty 15”, come Cina, Messico, Vietnam, Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Canada, India e la stessa Unione Europea.    

Le tariffe si andranno a sommare a quelle già decise sulle auto importate, che scatteranno il 3 aprile, e sull’alluminio.  Trump ha ben chiara la strada da seguire e starebbe sfruttando le ultime ore a sua disposizione per “perfezionare” il piano commerciale, ha detto la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt. 

“Il 2 aprile salirà alle cronache come uno dei giorni più importanti della storia americana. Il presidente affronterà decenni di pratiche commerciali sleali con le quali il nostro Paese è stato derubato”, ha aggiunto Leavitt, senza scendere nei dettagli e limitandosi a ribadire il mantra che Trump ripete ormai da settimane, ovvero chi produce in America non pagherà i dazi.

In attesa dell’annuncio ufficiale e mentre i mercati finanziari rimbalzano dopo diverse sedute chiusesi in rosso, all’interno dell’amministrazione è già iniziata la caccia al ‘responsabile’ nel caso in cui il piano sulle tariffe dovesse non andare come previsto e rivelarsi un boomerang.

I riflettori sono tutti puntati su Howard Lutnick, il ministro del commercio e uno dei maggiori sostenitori dei dazi. Lutnick ha trascorso molto tempo nello Studio Ovale con Donald Trump ,spingendo il presidente a essere “più aggressivo” sulle tariffe e dandogli “cattivi consigli”, riferiscono alcune fonti a Politico, descrivendo i malumori intorno a Lutnick. La responsabilità se qualcosa andasse storto - riferiscono le stesse fonti - potrebbe facilmente ricadere su di lui. 

   Di certo la politica commerciale di Trump sta alimentando i timori di recessione negli Stati Uniti. Gli analisti di Goldman Sachs hanno aumentato la probabilità di recessione a 12 mesi dal 20% al 35%. Secondo una simulazione di Moody’s, dazi universali del 20% e una rappresaglia completa da parte di altre nazioni sui beni statunitensi costerebbero 5,5 milioni di posti di lavoro in America, farebbero salire il tasso di disoccupazione Usa al 7% e farebbero scendere il PIL statunitense dell’1,7%.