“Non voglio semplicemente rappresentare una palma. Voglio farti vedere la forza di una palma che cresce nella sabbia”.

Ed è con questa frase che s’intuisce la filosofia alla base del percorso artistico di Daniele D’Aluisio, artista visivo che mescola pittura e scultura per raccontare l’emozione prima della forma.

L’artista, nato e cresciuto in Salento, ha imparato che il mestiere, prima ancora dell’arte, è stato il suo primo linguaggio: “Ho iniziato a lavorare molto presto con mio padre, che costruisce macchine agricole. Passavo diverso tempo nel suo laboratorio, ogni estate, tra lamiere e saldatrici. Prima di creare con la mente, ho imparato a costruire con le mani, ed è da questa manualità che ho, piano piano, capito di voler continuare a creare e sperimentare”.

Oggi vive in Australia e lavora come artista a tempo pieno. Il suo è stato un passaggio graduale, costruito su esperienze di viaggi e riflessioni che si sono sedimentate nel tempo, fino a far maturare in lui la consapevolezza che questo era il suo destino. Ha iniziato con sculture in ferro e pittura, poi qualcosa si è trasformato: ha cominciato a unire le due tecniche in un’unica visione: “Uso supporti rigidi, sabbia, pigmenti naturali e costruisco la materia in rilievo. I miei lavori più recenti sono una fusione tra pittura e scultura: non più cornici né tele, ma superfici materiche da osservare e toccare”.
Sono quadri tridimensionali: un ibrido che richiama l’affresco, il bassorilievo e la pittura gestuale. Con una collezione di opere che spaziano tra arte astratta, icone australiane, natura, per D’Aluisio l’arte è un percorso personale prima che estetico: “Tutto quello che creo è il risultato di un ascolto. Un ascolto di sé, del mondo, della natura che ritengo sia l’artista più grande. Osservarla mi ha insegnato che non serve copiare. I miei lavori parlano di resistenza, di ciò che cresce anche quando il terreno sembra ostile. Come una palma che si ostina a crescere nella sabbia salina”.

Questa immagine gli è rimasta dentro dai suoi viaggi nei Caraibi, in Brasile e in Sud America. Ma più che i paesaggi, ciò che l’ha colpito sono state le persone: “Spesso dove c’è poco, c’è molta più bellezza. Ho trovato felicità in contesti poverissimi. E questo mi ha cambiato. Lì ho capito che volevo creare qualcosa che parlasse della vita, non solo della forma”.

Nelle sue opere si leggono i contrasti che lo attraversano: spiritualità e materia, oscurità e luce, controllo e impulso.

Le letture giovanili di Baudelaire e i ricordi dell’infanzia si intrecciano in un linguaggio personale, che non cerca di piacere al pubblico a tutti i costi, ma di esprimere qualcosa di vero: “L’arte per me non è intrattenimento. È una forma di verità. Vorrei che qualcuno si riconosca nei miei lavori non solo perché si apprezza la tecnica ma perché rimandano a un qualcosa di più profondo in chi li guarda. Questo è il cuore di tutto il mio lavoro”.

Daniele lavora lentamente, a strati. Usa materiali diversi: polvere di marmo, sabbia, legno, pigmenti naturali che applica con gesti istintivi ma precisi, alternando fasi di costruzione e distruzione. “Spesso gratto via quello che ho appena fatto, per far emergere ciò che prima non vedevo. È una scoperta continua”, racconta.

Attualmente Daniele sta preparando una nuova mostra a Sydney, prevista tra settembre e ottobre.