ROMA - La chiusura di Atreju 2025, riservata come da tradizione alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è trasformata in un comizio elettorale in grande stile, culminando in un’onda di applausi. Nonostante il freddo, ministri, sottosegretari, parlamentari, leader del centrodestra, e i familiari della premier — dalla figlia Ginevra alla madre Anna Paratore, fino all’ex compagno Andrea Giambruno — erano assiepati tra la sala principale e le aree circostanti di Castel Sant’Angelo per ascoltarla. 

La presidente del Consiglio si è presentata in un look più informale del solito (giacca blu, camicia bianca, jeans scuri) per riaffermare il rapporto di fiducia tra il suo mandato e il voto del 2022, delineando il presente e il futuro del Governo, dalle riforme all’unità del centrodestra, invocata anche dagli alleati Matteo Salvini e Antonio Tajani. 

Dopo i ringraziamenti di rito — estesi anche ai leader dell’opposizione che hanno partecipato alla kermesse di Fratelli d’Italia nei giorni scorsi — Meloni ha sferrato subito il primo attacco alla segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, assente all’evento.  

“Con il suo Nannimorettiano ‘Mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo per niente’ – ha detto la premier – ha comunque fatto parlare di noi. La cosa divertente è che il presunto campo largo l’abbiamo riunito noi ad Atreju e l’unica che non si è presentata è quella che dovrebbe federarli”. Meloni ha suggerito che, in un luogo dove anche Nietzsche e Marx si sarebbero potuti confrontare, “chi scappa dimostra di non avere contenuti.” 

Schlein è rimasta l’elefante nella stanza per l’intera ora del discorso. La premier ha criticato le “ammucchiate” che la sinistra fa “pur di gestire il potere” e ha ironizzato sui loro tentativi di gufare sull’evento: “Si portano da soli una sfiga che manco quando capita la carta della pagoda al Mercante in fiera”.

Meloni ha contrapposto questa situazione all’unità del centrodestra, che, a suo dire, “non nasce per ravanare qualche poltrona, ma per mettere al servizio della nazione una visione condivisa fondata sulla libertà”. 

La leader di Fratelli d’Italia non ha, però, risparmiato stoccate ad altri avversari. In ordine, è finito nel mirino il segretario della Cgil, Maurizio Landini, accusato di una solidarietà a intermittenza: esprime preoccupazione per i lavoratori Gedi solo adesso, mentre quando “faceva le interviste a Repubblica” su Stellantis “fischiettava”. Un attacco che è poi stato esteso ai sindacati in generale. 

Subito dopo, la critica si è abbattuta sul sistema giudiziario, la cui azione è stata colpita due volte: sia per il presunto ritardo nell’avvio dei centri per migranti in Albania (e il conseguente danno erariale), sia per quanto “stiamo vedendo a Garlasco, ultimo caso... di una giustizia che va profondamente riformata”. 

Infine, Meloni ha rivolto critiche dirette a diverse figure pubbliche e attiviste, includendo nella sua black list nomi come Greta Thunberg, Francesca Albanese e Ilaria Salis. 

Nel mare di citazioni (da Blaise Pascal a Otto von Bismark) e temi toccati, la premier ha mantenuto la barra dritta sui capisaldi del suo Governo. Meloni ha riaffermato l’impegno sulle riforme, promettendo il premierato e l’autonomia differenziata, quest’ultima destinata a rendere l’Italia “più efficiente, ma anche le classi dirigenti più responsabili”, a cui si aggiunge la riforma per Roma Capitale. 

Sul fronte internazionale, è stata confermata la linea sulla crisi in Ucraina, sulla deterrenza e sul ruolo dell’Italia in Europa, con un accenno anche a Donald Trump. Infine, la premier ha rivendicato con forza la norma su famiglia e scuola, esprimendo “orgoglio per la norma sul consenso informato per l’educazione sessuale nelle scuole, perché educare i figli su materie così delicate è compito dei genitori, lo Stato non può sostituirsi alla famiglia”. 

Il lungo intervento si è concluso con un messaggio ai militanti: “Ogni giorno, in ogni scelta, saremo quella scintilla, una scintilla di consapevolezza, di amore, di coraggio... e se ci riusciremo, vi garantisco che noi non racconteremo la storia, noi la scriveremo”. 

Il sipario sull’edizione record di Atreju — che ha registrato 105mila presenze in otto giorni — è calato sulle note dell’inno d’Italia.