Riconoscere i fattori genetici e quelli acquisiti, tra i quali svetta il nostro comportamento, è il primo passo. Il secondo: distinguere i fattori di vulnerabilità, con attenzione ai fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento. Il terzo è comprendere le differenze di genere, perché può aiutarci a individuare poi le strategie per ridurre le vulnerabilità specifiche.

La storia familiare è la prima medicina di precisione, come sempre ricordo alle mie pazienti. Se in famiglia ci sono stati casi di angina, infarto, ictus, trombosi ed embolie, o tachiaritmie severe, ci dobbiamo allertare. è utile sapere se le persone colpite fossero state in maggioranza uomini o donne; se fossero più frequenti in uno dei rami ascendenti, quello paterno o quello materno, o in entrambi; e, importante, l’età in cui il problema cardiovascolare si è verificato. A seguire, è essenziale conoscere le eventuali patologie concomitanti: diabete e obesità innanzitutto.

La domanda «A chi somiglio di più?» ci aiuta a fare un altro passo avanti nel capire sia la mappa delle nostre vulnerabilità genetiche e acquisite, sia le contromisure da prendere per minimizzare il rischio: tanto prima, tanto meglio. La somiglianza che ci interessa, quando si parla di cuore, non è solo fisica, ma caratteriale e comportamentale. Per esempio, i collerici hanno un cuore molto più a rischio dei calmi. Ancor più se sono sedentari, e ancora peggio se fumano, sono sovrappeso o obesi, e se lavorano a ritmi serrati, stressati come soldati in guerra. Comportamento presente in una parte della generazione che oggi ha 60 anni, in ambito imprenditoriale o artigianale, e molto meno nelle generazioni più giovani, per le quali il cuore è messo a rischio molto di più dai comportamenti voluttuari, cocaina, fumo e altre droghe in primis.

Mi sorprende sempre vedere il senso di rassegnata passività con cui le persone mi comunicano le patologie gravi che hanno colpito la loro famiglia, con la stessa indifferenza con cui mi darebbero un numero di telefono. Raramente le vedo interrogarsi, e interrogarmi, su che cosa possano fare per rallentare o evitare una determinata patologia. Il nostro comportamento e i nostri stili di vita possono infatti modulare molto la penetranza e l’espressività dei nostri geni, ossia l’età in cui la patologia compare e l’aggressività con cui si manifesta. Un infarto o un ictus a cinquant’anni indica un picco di vulnerabilità da allerta rossa, mentre ci allarmano meno a ottant’anni.

E poiché uomini e donne condividono 45 cromosomi su 46, i fattori basali di funzionamento del cuore, della pressione arteriosa, del ritmo cardiaco si sovrappongono. I differenti assetti ormonali spiegano invece differenze critiche, su cui, conoscendole, possiamo ben intervenire. Le donne hanno un netto incremento di patologie cardiovascolari circa dieci anni più tardi degli uomini, con la menopausa a segnare il passaggio più critico. La perdita di ormoni sessuali, estrogeni e progesterone, fa infatti da detonatore al rischio cardiovascolare, con tre aggravanti poderose.

La prima è l’età alla menopausa: quanto più l’esaurimento ovarico o la rimozione delle ovaie sono precoci, prima dei cinquant’anni, tanto maggiore è il prezzo che il cuore paga in salute. La seconda è l’impossibilità di ridare al cuore gli ormoni perduti: per mancanza di conoscenza, per scarso accesso a cure di qualità, per avversione aprioristica alla parola “estrogeni”, o per controindicazioni, fra cui pregressi tumori al seno o all’utero, e tromboflebiti.

La terza: gli stili di vita errati. Rispetto al passato, il cuore delle donne è oggi molto più sollecitato da alti livelli di stress cronico già prima della menopausa, soprattutto fra quelle che lavorano in ambienti urbani, con figli da seguire, senza aiuti familiari. Fumo, alcol, sedentarietà, eccesso di zuccheri e di grassi potenziano la vulnerabilità. La perdita di ormoni sessuali, da sola, aumenta poi l’incidenza di eventi cardiovascolari del 60% rispetto al periodo antecedente la menopausa, a meno che la donna non inizi tempestivamente una adeguata terapia ormonale sostitutiva (TOS). 

I benefici della TOS sono infatti evidenti quando la donna inizia la cura subito a cavallo della menopausa, mentre sono controversi quando inizia dopo dieci anni dal suo inizio.

Per tutti, la valutazione del rischio familiare deve essere il primo sprone ad avere più cura del proprio corpo e del proprio cuore, con costante miglioramento degli stili di vita. Per le donne, l’inizio tempestivo della TOS toglierà l’incremento specifico del rischio cardiaco causato dalla perdita di ormoni sessuali da menopausa. Il premio? Un cuore più sano e più felice, di vivere e di amare.