CANBERRA - Sebbene questi accordi prevedano tariffe inferiori rispetto a quelle minacciate in un primo momento, rimangono comunque superiori alla tassa del 10% che colpisce al momento i prodotti australiani.

Nessun partner commerciale di Washington è finora riuscito a evitare completamente i dazi, un segnale chiaro dei limiti della diplomazia commerciale globale con l’amministrazione Trump.

Il primo ministro Anthony Albanese e il ministro del Commercio Don Farrell continuano a sostenere che i prodotti australiani non dovrebbero essere soggetti a dazi, invocando il trattato di libero scambio sottoscritto da entrambi i Paesi. Tuttavia, è ormai chiaro che Trump consideri i dazi come uno strumento necessario per gli interessi americani, rendendo difficile ogni tipo di esenzione totale.

In questo contesto, l’Australia potrebbe dover cambiare strategia e cercare di inserirsi più strategicamente all’interno delle trattative. Un nodo cruciale è lo schema australiano di sussidi farmaceutici (PBS), da tempo osteggiato dall’industria farmaceutica statunitense. A luglio, Trump ha minacciato l’introduzione di un dazio del 200% sui farmaci, probabilmente per forzare concessioni su quel fronte.

Il governo Albanese ha chiarito che il PBS non è negoziabile. In alternativa, ha annunciato l’allentamento delle restrizioni sulle importazioni di carne bovina dagli Stati Uniti, affermando che la decisione si basa su una revisione scientifica decennale delle procedure inerenti la biosicurezza. A riguardo, l’opposizione e rappresentanti del settore agricolo chiedono una revisione indipendente per valutare eventuali rischi bio-sanitari.

Il primo ministro Albanese ha replicato che ogni decisione viene presa nell’interesse nazionale.