ROMA - La Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie, considerando però illegittime alcune specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo. 

I giudici, che hanno esaminato i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla Costituzione. A tal fine, “è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni”, si legge nella nota della Consulta. 

La Corte ha ravvisato in particolare l’incostituzionalità della possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie. La Consulta ritiene invece che “la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà”. 

Secondo i giudici è incostituzionale poi il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento.  

Illegittima anche la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei livelli essenziali delle prestazioni, oltre alla possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito.  

In base a tale previsione, secondo la Corte, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti che, dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite, non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni. 

E ancora secondo i giudici è illegittima “la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”. Bocciata anche “l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”. 

La Consulta sottolinea infine che spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge. 

ROMA - La Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie, considerando invece illegittime alcune specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo. 

I giudici, che hanno esaminato i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla Costituzione. A tal fine, “è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni”, si legge nella nota della Consulta. 

La Corte ha ravvisato in particolare l’incostituzionalità della possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie. La Consulta ritiene invece che “la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà”. 

Secondo i giudici è incostituzionale poi il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento.  

Illegittima anche la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei LEP, oltre alla possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito.  

In base a tale previsione, secondo la Corte, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti che, dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite, non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni. 

E ancora secondo i giudici è illegittima “la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”. Bocciata anche “l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”. 

La Consulta sottolinea infine che spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.