Tra le ragioni che l’hanno fatta sorridere nel giorno del suo compleanno, probabilmente il successo al cinema non è la principale: viene dopo la sua riuscita seconda vita come fortunata imprenditrice di una linea di fitness costruita grazie a filmati dimostrativi e alla sua frequentatissima palestra; ma al primo posto c’è il bilancio positivo della sua vita di moglie (32 anni di matrimonio con l’amatissimo Luigi Borghese), di madre (sia Massimiliano, barista di qualità, che Alessandro, chef rinomato e personaggio televisivo) e di nonna. Anche per questa scelta di vita Barbara Bouchet ha lasciato di fatto il cinema nel 1982 dopo un ventennio di poche ombre e molte luci, una carriera cominciata per caso nei primi anni ‘70 in America e proseguita da star popolare in Italia.
Nata il 15 agosto 1943 a Liberec, in Cechia, che al tempo faceva parte della Germania nazista, è figlia di un fotografo e un’attrice. I Gutscher (questo il vero cognome di Barbara) appartenevano alla minoranza tedesca e furono espulsi subito dopo la guerra, sfollati in Germania e quindi autorizzati a espatriare in America per stabilirsi in California nel 1956.
“Da ragazzina - ha confessato - odiavo la scuola e la ginnastica come la insegnavano. Poi sono capitata in una palestra e ho cominciato a muovermi, anche per ballare. Una volta mi iscrissi al concorso di ‘Miss China Beach’, la spiaggia del quartiere cinese a San Francisco: mi presentai e quando chiamarono le tre finaliste venni chiamata per ultima. Pensavo di essere arrivata terza. Invece mi mettono al centro sul gradino più alto; solo allora scoprii di aver vinto”.
Altrettanto per caso viene selezionata per il corpo di ballerini adolescenti “The KPIX Dance Party”, un gruppo di ragazzi che apparivano sulle televisioni locali per intermezzi di ballo sulle canzoni del momento.
Partecipa a moltissimi provini, scopre la durezza del mestiere (“le attenzioni sgradevoli del MeeToo le ho provate allora, mai in Italia”), appare su riviste e pubblicità, vede da vicino registi come Jack Arnold e Richard Quine, attori come Marlon Brando o Shirley McLaine facendo la comparsa e finalmente strappa qualche ruolo tra piccolo schermo e cinema.
La ritroviamo ne “Il Virginiano” e “Star Trek”, in “A braccia aperte” di J. Lee Thompson o “Prima vittoria” di Otto Preminger. Avrà più risalto nel paradossale “Casinò Royale” del ‘67 come Miss Moneypenny a fianco di David Niven e in “Sweet Charity” di Bob Fosse (1969).Stanca dell’eterna attesa dell’occasione propizia, prende la via dell’Europa e sbarca in Italia. Nel 1970 debutta in un singolare thriller d’ambientazione americana, “Colpo rovente” di Pietro Zuffi con una sceneggiatura a firma di Ennio Flaiano e un inatteso Carmelo Bene nel cast.
Poiché la commedia “Il debito coniugale” con Lando Buzzanca è dello stesso anno, si può ben dire che in pochi mesi Barbara Bouchet costruisce il doppio personaggio che farà la sua fortuna nella stagione italiana: seduttrice o vittima nei polizieschi, oggetto del desiderio nel filone della commedia erotica, generi egualmente popolari nella Cinecittà di quegli anni. Quasi 50 film in 12 anni testimoniano il suo successo, sempre indossato con ironia, misura, fiducia nel suo corpo ma anche nella professionalità.
Se da ragazza era apparsa un paio di volte sulla rivista “Playboy” adesso è la volta di “Playmen”, ma nella filmografia del periodo non mancano titoli rimasti celebri: “Il prete sposato” di Marco Vicario e “Milano Calibro 9” di Fernando Di Leo, “Liquirizia” di Salvatore Samperi e “Non si sevizia così un paperino” di Lucio Fulci. Ci sono incursioni del cinema dei registi maggiori come “La Calandria” di Pasquale Festa Campanile, “L’anatra all’arancia” di Luciano Salce o “Per le antiche scale” di Mauro Bolognini.
Ma sono le collaborazioni con Sergio Martino (una per tutti, “40 gradi all’ombra del lenzuolo”) a farne un’icona del cinema sexy. Non sarà un caso che Quentin Tarantino, firmando una retrospettiva del cinema di genere alla Mostra di Venezia la vorrà come sua “musa” emblematica nel 2004. “Non mi ponevo proprio il problema di essere un sex symbol. Lavoravo, lavoravo, lavoravo: nel 1972 ho girato 11 film! Le trame erano più o meno le stesse: mi spogliavo un po’, facevo grandi bagni insaponata nella vasca. Edwige Fenech invece era più da doccia. Soltanto due pellicole ho rifiutato, ‘La chiave’ di Tinto Brass e ‘Histoire d’O’: la perversione non mi interessava. Avevo due genitori molto liberi, aperti, che dividevano con sei figli una stanza e mezza: girare nudi era normale. Non ho pudore da questo punto di vista, è il mestiere di attrice. Se uno impersona un assassino, mica deve uccidere!”.
Dagli anni ‘80 in poi le apparizioni sul grande schermo sono occasionali: “Gangs of New York” di Martin Scorsese (2002), l’esilarante “Metti la nonna in freezer” di Fontana e Stasi (2018), “Calibro 9” di Toni D’Angelo. Più frequenti le apparizioni televisive dai Festival di Sanremo alle lezioni di fitness, da “Scarlatto e nero” con Gregory Peck (ancora nel 1983) a “Ho sposato uno sbirro (2008), dalle soap opera “Un posto al sole”, “Incantesimo”, “Capri” fino al tv movie “Rome in Love” del 2019.