TEL AVIV - La Corte di Gerusalemme ha respinto la richiesta dei legali del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di rinviare di oltre due mesi la sua testimonianza, fissata per il 2 dicembre, nel processo per corruzione in corso aperto da più di quattro anni.
Il rappresentante della Procura, Yeshudit Tirosh, ha sostenuto davanti alla Corte che non si può permettere al presidente israeliano di “dettare il calendario” del suo processo, cosa che violerebbe il principio di uguaglianza davanti alla legge, e ha ricordato che dallo scorso luglio la giustizia gli ha già dato cinque mesi per prepararsi. “Eravamo in guerra a luglio a Gaza e con gli attacchi dal nord, e siamo in guerra adesso. Inoltre, non sappiamo cosa accadrà tra altre 10 settimane”, ha criticato Tirosh.
L’avvocato difensore di Netanyahu, Amit Hadad, da parte sua, insiste sul fatto che il primo ministro israeliano non può ora preparare adeguatamente la sua testimonianza perché è concentrato sull’affrontare i bisogni del paese a causa dei conflitti a Gaza e in Libano in pieno svolgimento.
I legali del premier hanno evidenziato che il tribunale dove dovrà testimoniare, situato nella Gerusalemme Est occupata, non dispone di un rifugio antiaereo, e che quindi la sua sicurezza non può essere garantita. Il leader israeliano è sotto processo dal 2019 per frode, corruzione e abuso di fiducia in tre distinti casi oltre a essere accusato di aver ricevuto doni in cambio di favori e presunti trattamenti di favore per ricevere una copertura mediatica positiva.
Il processo è iniziato nel maggio 2020, ma è stato lasciato in secondo piano nel 2022 e non ha avuto quasi alcun peso nella campagna per le elezioni del 1° novembre di quell’anno, dopo le quali Netanyahu è tornato al potere alla guida del governo più di destra della storia israeliana.
È improbabile che il processo, compresi i potenziali ricorsi, si concluda prima del 2028-29. Se fosse giudicato colpevole con condanna definitiva, Netanyahu dovrebbe dimettersi, ma finché dura il processo può restare al potere, poiché la legge israeliana prevede le dimissioni di un ministro sotto accusa, ma la norma non si applica al capo del governo.