ROMA - Dai pedagogisti al mondo dello spettacolo, dagli intellettuali ai politici. Tutti uniti nel chiedere al governo un’ulteriore stretta sugli smartphone: niente telefoni personali a chi ha meno di 14 anni, nessun profilo social per gli under 16. Si tratta di un appello promosso dal pedagogista Daniele Novara e dallo psicoterapeuta Alberto Pellai che arriva dopo il divieto di utilizzo degli smartphone in classe fino alla terza media - anche per scopi didattici - voluto dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.

Lanciato anche come petizione su Change.org, raccoglieva già le firme di Paola Cortellesi, Alba Rohrwacher, Stefano Accorsi, Luca Zingaretti e tanti altri artisti. Un appello che, secondo il ministro Valditara, va nella direzione che ha “fortemente sostenuto” e che ha “trasformato in realtà con il divieto dell’utilizzo del cellulare fino a 14 anni nelle scuole italiane”. “[Una richiesta che] smentisce chi, a suo tempo (e ancora di recente), ha banalizzato la nostra iniziativa arrivando ad accusarci di essere ‘retrogradi’”, aggiunge. “Molto coraggioso e condivisibile” è poi il commento di Simona Malpezzi, vicepresidente della Commissione bicamerale Infanzia e adolescenza, all’appello dei pedagogisti.

Mentre il ministro per lo Sport e per i giovani, Andrea Abodi, dice di non credere “ai divieti, ma nell’educazione, al ruolo della scuola e delle famiglie”. Secondo gli esperti, sono di due tipi i danni che subiscono i bambini e le bambine interagendo con schermi e strumenti tecnologici: “uno diretto, legato alla dipendenza” e “uno indiretto, perché l’interazione con gli schermi impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali per un corretto allenamento alla vita”. Per loro “è chiaro” che prima dei 14 anni avere uno smartphone personale possa essere dannoso così, come allo stesso modo, avere un profilo sui social prima dei 16.

Del resto anche Valditara osserva che “i danni derivanti da un uso precoce del cellulare e dei social sono ormai evidenti a tutti”. Su un’altra cosa, però, vogliono essere chiari i promotori dell’appello: non si tratta di una presa di posizione “anti - tecnologica”, ma l’accoglimento di ciò che dicono le neuroscienze a riguardo. E ricordano come “nelle scuole dove lo smartphone non è ammesso, gli studenti socializzano e apprendono meglio” e che prima dei 14-15 anni, “il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile all’ingaggio dopaminergico dei social media e dei videogiochi”.

Per questo motivo ribadiscono come i dispositivi elettronici - inclusi i tablet - debbano essere usati solo dai docenti per arricchire la didattica “senza prevedere, in classe o a casa e almeno fino ai 15 anni, alcun uso autonomo degli studenti”. D’altronde per gli esperti il momento più adatto per usare social e smartphone arriverà, prima o poi, perché “ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”.

Anche il senatore del Partito Democratico, Francesco Giacobbe, eletto nella ripartizione Asia-Africa-Oceania-Antartide, ha firmato e sostenuto l’appello dei pedagogisti. Il senatore Giacobbe ha, infatti, sottolineato come una simile linea d’azione sia già nell’agenda del governo australiano dove il primo ministro Anthony Albanese ha recentemente annunciato l’intenzione di introdurre una legge per regolamentare l’uso degli smartphone tra i giovani, già da quest’anno.

“L’esempio australiano - ha affermato il senatore Giacobbe - dimostra che è possibile e necessario agire per proteggere il benessere delle future generazioni. In qualità di rappresentante degli italiani all’estero, e in particolare in aree come l’Australia, ritengo fondamentale che anche l’Italia si muova in questa direzione e sposi quella che, ormai, è evidente sia un’esigenza prioritaria per il futuro delle nuove generazioni”. 

Nuove generazioni da tutelare, secondo la posizione del senatore del Partito Democratico, in un processo di consapevolezza che deve partire dagli adulti e dalle istituzioni: “Limitare l’accesso ai social  media prima dei 16 anni non significa privarli di qualcosa, ma proteggerli. Proteggiamo la loro capacità di sviluppare relazioni reali, di vivere esperienze formative che non siano filtrate da uno schermo e di crescere senza la pressione costante dei ‘like’ o delle aspettative irreali che il mondo digitale può generare”.