“Urca, quante candeline da spegnere!”. Ottanta per la precisione, per il ragioniere che faceva così tanto ridere i colleghi che dapprima preferì i corsi serali di teatro a quelli di economia, e poi il cabaret piuttosto che il ruolo di vice-direttore commerciale della Galbusera. Ottant’anni per Enrico Beruschi; attore dalla faccia simpatica, dalla barba folta e dalla stempiatura imperante. Basso, con l’inconfondibile accento lombardo e quelle varie tonalità della voce che lo facevano somigliare a un cartone. Comico ultranoto tra la fine degli anni ‘70 e tutto il periodo degli anni ‘80; maestro dei tormentoni, fu tra i protagonisti di due programmi cult, pietre miliari della comicità catodica italiana: “No stop” di mamma Rai, e “Drive In” del Biscione.

Tutto ha però inizio al Derby, patria della comicità meneghina. E’ il 1977, e quel comico a dir la verità un po’ bruttino ma dai tempi perfetti finisce in Rai. Prima apparizione in “Qua la zampa”. Enzo Trapani, geniale scopritore di talenti lo vuole con sé a “No Stop”, la trasmissione che detta la legge della comicità sul piccolo schermo e che lancia gli artisti più talentuosi di allora. In Rai prosegue con trasmissioni indimenticabili come “La sberla” o “Luna Park”. Ma è l’83 l’anno della svolta, l’approdo alla tv di Silvio Berlusconi nella corte del geniale Antonio Ricci. L’autore lo vuole in “Drive In”; nelle edizioni successive non sarà più solo, con Margherita Fumero metterà su alcuni degli sketch più divertenti della trasmissione. “Margheritaaa…” strepita il povero marito bistrattato e vittima delle bizzarrie della moglie facendone un nuovo tormentone. Poi, archiviato “Drive in”, passerà al teatro e al cinema. In tv ci tornerà, dividendosi ancora una volta tra Mediaset e Rai: da “Emilio” a “Bellezze al bagno”, da “Camera Cafè” a “Quelli che il calcio”.