Novantaquattro seggi: record assoluto per Anthony Albanese dalla nascita della Federazione. Nessun governo come il suo e nessuno prima di lui nel dopoguerra è riuscito ad ottenere una riconferma ampliando la sua maggioranza. Fortuna? Il sistema imperfetto dei voti preferenziali? L’effetto Trump? L’incredibile campagna senza capo né coda dell’opposizione? L’impopolarità, a livello personale, di Peter Dutton?
Tutto un po’, ovviamente, ma il primo ministro si trova ora in una posizione senza precedenti per trasformare il Paese con la garanzia, o quasi, di un terzo mandato. Per assicurargli un quarto ci stanno pensando i liberali e i nazionali, con le loro divisioni e il loro confuso tentativo di risolverle andando ognuno per la propria strada per circa 48 ore.
All'inizio del suo secondo mandato, Albanese si trova probabilmente in una posizione migliore di qualsiasi altro leader del passato: meglio di Robert Menzies, il primo ministro rimasto più a lungo di ogni altro al timone del Paese o di Bob Hawke l’uomo dei record (per permanenza alla Lodge) della storia laburista.
Albanese ha stravinto la sfida del 3 maggio, ottenendo una conferma che non ammette ‘se o ma’ e respinge al mittente qualsiasi dubbio sulla tattica dell’avanti piano, senza strappi e senza uscire dai binari delle promesse elettorali, se non per qualche rara eccezione come, per scelta, quella della terza fase della riforma fiscale di Morrison o quella, per semplice eccesso di ottimismo del suo ministro dell’Energia Chris Bowen, sui prezzi delle bollette energetiche che invece di scendere sono astronomicamente salite, forzando costosi bonus salva-voti e investimenti supplementari.
Dopo la maxi vittoria di inizio maggio, la tentazione sicuramente c’è di osare un tantino di più, e alcuni sui colleghi hanno già manifestato la loro propensione a chiedere qualche libertà programmatica extra, data l’enorme maggioranza, ma il passato insegna e Albanese ha mostrato, tranne che nel caso della famosa Voce indigena, di non essere disposto a correre troppi rischi. E l’approccio del ‘vincitore che si prende tutto’ non è nel suo stile.
L’ampio mandato c’è, ma è legato a quello che è stato promesso – ha già spiegato la scorsa settimana al circolo della stampa il segretario del Partito laburista, Paul Erickson (servizio a pagina 11) – e il primo ministro, rafforzato nella sua autorità proprio dall’entità del nuovo mandato, con ogni probabilità seguirà i consigli del direttore della recente campagna elettorale, mantenendo fede agli impegni presi con gli elettori, contenendo l’entusiasmo e la ‘voglia di fare’ extra di alcuni colleghi.
Tenersi al ‘centro’ paga e la prosperità della nazione è già messa a dura prova da fattori esterni senza precedenti, che creano incertezze globali non solo economiche: dopo la doppia missione in Indonesia e a Roma per l’inizio dell’era di Leone XIV, questa settimana il primo ministro comincerà a preparare la ripresa dei lavori parlamentari di metà luglio. Mentre continua lo spoglio per finalizzare il risultato elettorale nel Senato, ci sarà, infatti, il primo incontro operativo del nuovo Gabinetto di governo.
Per ciò che riguarda la doppia missione all’estero, Albanese ha indubbiamente iniziato il bis con il piede giusto. Due opportunità, nell’immediato dopo elezioni, da non perdere, perché l’importanza del rapporto con l’Indonesia è fuori discussione e i tentativi russi di ottenere l’uso di aeroporti indonesiani per aerei a lungo raggio (inclusi bombardieri), a soli 1300 chilometri da Darwin, andavano discussi in prima persona, specie dopo le false notizie che erano state diffuse durante la campagna dalla sponda liberale (Peter Dutton aveva erroneamente attribuito al presidente indonesiano alcune dichiarazioni a proposito di richieste russe per basi in Indonesia) e lo stesso Albanese aveva ‘usato’ la gaffe per puri scopi elettorali senza dare adeguate spiegazioni al riguardo alla richiesta di Mosca.
Appropriata anche la puntata a Roma per partecipare alla Messa di inaugurazione del papato di Leone XIV a cui hanno fatto seguito un’udienza privata con il pontefice e incontri, formali e informali, con diversi leader mondiali, tra i quali la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per riavviare i negoziati sul trattato di libero scambio con l’Europa.
Non ha parlato privatamente con il vicepresidente americano JD Vance, specificando – per spegnere qualsiasi polemica politica al riguardo – che non aveva chiesto un incontro dato che si sta lavorando per un imminente ‘tu per tu’ con Donald Trump. Niente segnali d’ansia sui dazi, quindi, e giusta precedenza per il presidente per avviare qualsiasi tipo di trattativa con la Casa Bianca del nuovo corso.
Sulla via di casa, il capo di governo ha fatto una breve tappa a Singapore e discusso ulteriormente sul Partenariato Strategico con il neoeletto primo ministro Lawrence Wong.
“All’interno del Sud-est asiatico è legato il futuro economico e la prosperità dell’Australia”, ha detto Albanese al suo ritorno, mostrandosi fiducioso e consapevole che, sebbene la presidenza Trump abbia portato caos negli affari internazionali e sui mercati finanziari, sarà la politica interna a determinare la qualità del suo governo.
Massima attenzione quindi sul da farsi e saggio non lasciarsi andare sulla ‘ciliegina’ post-voto dei tentativi di completa autodistruzione della Coalizione: Albanese, infatti, ha preferito lasciar fare a Sussan Ley e David Littleproud in fatto di danni supplementari e, alla domanda sul divorzio e mezza rappacificazione dei liberal-nazionali, ha risposto: “Il nostro compito è rimanere concentrati. E voglio sottolineare questo: i partiti politici non avranno mai successo concentrandosi solo su se stessi. Il mio compito è quindi quello di assicurare ogni attenzione sui bisogni del popolo australiano, guidando un partito unito e focalizzato solo su questo obiettivo”.
Ma lo spettacolo allestito sull’altra sponda politica, indubbiamente, aiuta a rimanere filosoficamente calmi e ‘saggi’. L’ultima settimana è stata, infatti, una dimostrazione di tutto quello che è andato storto nella campagna di un’opposizione che non ha capito le priorità degli australiani, lasciandosi affascinare dal ‘problema divisioni’ d’importazione che, secondo gli strateghi (scarsi) della Coalizione, erano nei gradini più alti, dopo ovviamente il costo della vita, sulla scala delle preoccupazioni degli australiani: la cosiddetta ‘ideologia woke’, le politiche identitarie, l’approccio del governo sulla questione palestinese e i cambiamenti climatici e le energie rinnovabili.
Il mondo occidentale sottosopra e quindi la necessità di riportare ‘ordine’ per non alimentare ansie e tensioni e puntare, come ha più volte affermato Dutton, sulle cose che ci uniscono e non su quelle che ci dividono.
Gli elettori hanno cercato di spiegare di avere altre priorità, molto più pratiche e si sono rivolti in massa verso chi aveva dato l’impressione di averlo capito. E con una risposta così netta, sfociata in una devastazione senza precedenti per l’opposizione è ovvio che qualcuno non abbia retto l’urto della realtà e si sia lasciato andare, cercando di trovare cause e risposte immediate.
È volato il solito fango, sono state puntate minacciosamente dita, arrivando alle porte sbattute prima di rendersi conto che non era il caso, perché effettivamente almeno sulla questione del “meglio trovare le cose che ci uniscono che puntare su quelle che ci dividono” la regia della Coalizione aveva ragione.
Littleproud e Ley, nel giro di 48 ore, hanno sfasciato tutto e poi hanno cercato di dire che “non era il caso”.
Tutto risolto? Neanche per scherzo.
Le divisioni, sia a livello di (alcuni) programmi che a livello personale, rimangono in bella vista. Un ricominciare senza grande fiducia già su base personale non è il massimo e la spaccatura sul tema clou dell’obiettivo delle emissioni zero del 2050 rimane profonda e rientra nelle quattro voci che hanno procurato il rumoroso e pasticciato divorzio, ora rientrato.
Sul tavolo anche il nucleare, ripartendo da una possibile intesa di limitarsi, per ora, a porre fine alla moratoria sull’energia atomica di John Howard del 1999: un compromesso per lasciare la porta aperta all’idea di una presunta ‘inevitabilità’ per compensare la variabilità dell’eolico e del solare, nonostante l’evidente parere contrario degli australiani.
Albanese è ripartito bene, sapendo di poter lavorare in questo secondo mandato con più tranquillità; la Coalizione decisamente no: il trauma della disfatta è grave, ma i primi passi verso una lunga e tortuosa risalita non sono sicuramente promettenti.