Il Melbourne Museum Theatre si prepara a ospitare uno straordinario evento cinematografico nei giorni del 7 e dell’8 dicembre: il documentario “Bonegilla Migrant Camp” di Simon Reich, un’opera cinematografica che offre uno sguardo penetrante e commovente sulle vite dei migranti che hanno vissuto nel campo di Bonegilla dopo la Seconda Guerra Mondiale. Attraverso interviste e testimonianze coinvolgenti, Reich cattura il tessuto delle esperienze di coloro che, sfuggiti alle devastazioni della guerra, cercavano una nuova vita in Australia.
Ho avuto il privilegio di intervistare lo stesso Simon Reich per approfondire la sua connessione personale con il progetto. Reich condivide una storia toccante riguardo a suo padre, che, trovandosi a Berlino durante la guerra, ha vissuto momenti intensi nella capitale tedesca. Dal suo racconto emergono gli orrori dei bombardamenti e la vicinanza al bunker di Hitler, fino alla decisione di trasferirsi in Australia negli anni ‘50, con Bonegilla come prima tappa cruciale nella sua nuova vita.
Per comprendere appieno il significato di questo documentario, è cruciale fare un salto indietro nella storia. Il campo di Bonegilla, infatti, è stato il rifugio di migliaia di migranti dopo la Seconda guerra mondiale. “Questo è un frammento prezioso della storia australiana, una testimonianza delle sfide affrontate dai migranti nel plasmare il futuro della nazione, e non deve essere dimenticato”, ha spiegato Simon Reich.
Bonegilla ha svolto un ruolo cruciale nell’accogliere migliaia di immigrati provenienti da tutto il mondo e Reich, presentando le testimonianze di coloro che hanno vissuto all’interno del campo - persone con professioni e background culturali variegati - lascia emergere una narrazione ricca e diversificata.
Uno degli aspetti più affascinanti delle interviste è la riflessione sulle esperienze culinarie dei migranti. Reich sottolinea come molti di loro, insoddisfatti del cibo fornito nel campo, abbiano proposto di mettere a frutto le loro abilità culinarie. Da questa richiesta nasce una collaborazione che porta alla creazione di una cucina comune, un rifugio in cui le tradizioni gastronomiche di Italia, Svizzera, Germania e altri Paesi si mescolano per creare un’esperienza di condivisione e appartenenza.
Una costante emersa dalle testimonianze è la dedizione al lavoro da parte degli immigrati. La determinazione e l’impegno instancabile nel costruire una nuova vita si riflettono nella loro rapida ascesa economica, con alcuni che già nei primi anni acquistavano case.
“Alcuni immigrati ottennero lavori come cuochi, altri, invece pulivano, facevano il bucato o guidavano camion. Lavoravano così duramente che alcuni di loro, soprattutto gli italiani, iniziarono a comprare case già nei primi tre o quattro anni dal loro arrivo”. E poi, continuando: “Alcuni immigrati vissero lì per molto tempo: ho intervistato alcune persone che vi rimasero per 30 anni. Amavano il campo soprattutto per l’aspetto sociale. I loro bambini giocavano insieme, tutti si aiutavano a vicenda ed erano sempre amichevoli”.
Il progetto di Reich è nato da una personale esplorazione delle radici familiari, culminata in una serie di podcast intitolata ‘Up from the rubble’, che traccia le vicissitudini di suo padre dalla guerra alla migrazione in Australia. Il regista ha poi viaggiato per l’Australia, incontrando e intervistando migranti che hanno attraversato Bonegilla. Una delle interviste più toccanti è quella di Rosa Sartor, una donna italiana che ha raccontato come ha iniziato una nuova vita in Australia dopo le tragedie della guerra.
“Rosa ha raccontato che, in quegli anni, il governo australiano iniziò a fare molta pubblicità perché voleva svilupparsi, avere più lavoratori e creare un Paese più grande per far decollare davvero l’economia. Per incentivare l’immigrazione, il governo offriva un viaggio gratuito in nave, che poteva trasportare fino a 1000 persone alla volta. Una volta arrivati qui in Australia, gli italiani si sono raggruppati, perché ovviamente parlavano tutti la stessa lingua”.
Un aspetto fondamentale del documentario - e più in generale, dello spettacolo del 7 e dell’8 dicembre - è la musica. “La musica ha il potere di amplificare le emozioni e di rendere tangibili i ricordi. Volevo che il pubblico si immergesse completamente nelle esperienze dei migranti”, ha commentato Reich che, del resto, è anche musicsita e compositore.
Insomma, “Bonegilla Migrant Camp” non è solo un documentario, ma un viaggio intriso di empatia nelle vite di coloro che hanno affrontato le sfide della migrazione con coraggio e speranza. Reich, con la sua narrazione coinvolgente, ci offre una finestra aperta sulla storia, dando voce alle storie che altrimenti potrebbero essere dimenticate.
Questo evento cinematografico promette di essere un’esperienza avvincente, un ponte tra il passato e il presente che risveglierà il pubblico alle ricche sfumature della storia migratoria australiana.
Per maggiori informazioni e per acquistare i biglietti, visitare il sito https://bonegillamigrants.com.au/.