BRASILIA - La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è cresciuta del 4% nell’ultimo anno, interrompendo una serie di quattro cali consecutivi.
Tra agosto 2024 e luglio 2025, la distruzione della vegetazione nativa ha colpito 4.495 chilometri quadrati del più grande polmone verde del pianeta, secondo i dati preliminari diffusi dal Governo e rilevati dal sistema di allerta dell’Istituto Nazionale di Ricerche Spaziali (INPE).
Nonostante l’aumento, si tratta comunque del secondo livello più basso della serie storica, superato solo dal minimo registrato tra il 2023 e il 2024 (4.321 km²). Il dato è inoltre lontano dal picco di 9.216 km² toccato nel 2020, durante la presidenza di Jair Bolsonaro, caratterizzata da politiche ambientali permissive.
Secondo il ministero dell’Ambiente, l’84% della deforestazione è dovuto al disboscamento totale, il 15% agli incendi e l’1% all’attività mineraria. In altre parole, senza l’ondata di incendi della seconda metà del 2024 – la più estesa mai registrata – la perdita di vegetazione sarebbe diminuita dell’8%, anziché crescere.
“L’aumento degli incendi dovuto al cambiamento climatico sta incidendo sulla deforestazione”, ha dichiarato la ministra dell’Ambiente, Marina Silva, sottolineando il potenziamento dei mezzi antincendio e delle operazioni di controllo. Silva ha parlato di un livello di distruzione “stabilizzato”, ma ha ricordato che l’obiettivo del governo Lula è azzerare la deforestazione in tutto il Paese entro il 2030.
Le aree protette dell’Amazzonia hanno registrato una riduzione del 26%, con 90 km² colpiti. Nel Cerrado – la savana tropicale del Brasile centrale – la deforestazione è scesa del 20,8% a 5.555 km², la prima diminuzione dopo quattro anni di crescita. Nel Pantanal, la più grande zona umida del pianeta, la riduzione è stata ancora più drastica: meno 72%, pari a 319 km².
Parallelamente, i dati del ministero dell’Ambiente e del Cambiamento Climatico mostrano un calo significativo degli incendi nel Paese. A luglio 2025, il numero di focolai è diminuito del 56,8% rispetto allo stesso mese del 2024, passando da 22.487 a 9.713. Le aree bruciate sono diminuite del 61%, da 1,8 milioni di ettari a circa 726 mila.
Il calo ha interessato cinque dei sei principali biomi brasiliani. Nel Pantanal (zona umida e paludosa) si è registrata la riduzione più netta, con meno 96,8% di focolai e meno 99,2% di superficie bruciata. Nella Foresta Amazzonica, i roghi sono calati dell’80,9% e l’estensione delle aree bruciate dell’89,9%. Nella Mata Atlantica i focolai sono diminuiti del 19,3% e la superficie incendiata del 76,4%; nel Cerrado (la savana nel centro del Paese) si è registrato un calo, rispettivamente, del 28,9% e 28,1%; nella Pampa brasiliana, del 15,9% e 12,8%.
L’unico bioma in controtendenza è la Caatinga (zona secca), dove incendi e aree bruciate sono aumentati.
Il ministero attribuisce questi risultati alle condizioni climatiche e a una serie di azioni di prevenzione e lotta agli incendi: assunzione del più grande contingente di pompieri federali mai registrato (4.385), introduzione di sette nuovi elicotteri per il trasporto di squadre e il lancio di acqua, uso di tecniche di “bruciatura prescritta” per ridurre il materiale secco e prevenire incendi incontrollati, investimenti del Fondo Amazzonia per i corpi dei vigili del fuoco in tutto il Paese e approvazione di nuove leggi per accelerare i tempi di intervento.
Il Brasile ospiterà a novembre, a Belém, la Conferenza Onu sul Clima (COP30), occasione in cui il governo Lula punta a presentarsi come leader della protezione ambientale. Tuttavia, il recente via libera del Congresso a una legge che allenta i vincoli ambientali per opere e progetti, inclusa l’esplorazione petrolifera vicino alla foce del Rio delle Amazzoni, rischia di mettere alla prova questa ambizione.