Per arrivare a quella firma con una matita sotto un impegno d’onore c’era stato un accidentato percorso di coraggio, scetticismo, caparbietà, disprezzo e persino umiliazione. Il 5 dicembre 1943 nel castello di Casoli, in provincia di Chieti, 15 volontari s’impegnarono a coadiuvare i soldati inglesi nelle operazioni militari contro i tedeschi nell’ambiente sconosciuto e ostile del massiccio della Maiella, in cambio dell’aiuto a evitare la distruzione dei paesi che sorgono nei pressi della Linea Gustav, nel mirino dei genieri della Wehrmacht che bloccano le vie comunicazione e ricorrono alla tattica della terra bruciata.

Gli inglesi avevano sistematicamente rifiutato le offerte avanzate da un avvocato di Torricella Peligna, Ettore Troilo, socialista, già segretario di Giacomo Matteotti, antifascista da sempre, e non avevano lesinato pesanti insulti, fino all’intercessione di un maggiore di Londra, di origini ebraiche: Lionel Wigram, destinato a cadere alla loro testa nella prima battaglia dell’unità italo-inglese, a Pizzoferrato nel febbraio 1944.

Per la prima volta venivano infatti armati e inquadrati i civili italiani, contrariamente alla regola mai più violata di disarmare le unità partigiane. Non avranno mai modo di pentirsi di questo credito di fiducia: quei 15 diventeranno 1.500 che combatteranno l’intera Campagna d’Italia, col più lungo ciclo operativo, unica formazione decorata di medaglia d’oro al valor militare. Conosciuta come Brigata Maiella e spesso inserita erroneamente o dolosamente tra le brigate partigiane, l’unità costituisce un unicum nella storia della Resistenza: i volontari che aprirono la loro esaltante epopea il 5 dicembre di ottant’anni fa non facevano parte del Corpo volontari della libertà, non rispondevano a nessun partito perché esterni al Comitato di liberazione nazionale, non avevano commissario politico, non conducevano guerriglia autonoma ma solo attività bellica inserita nei piani strategici alleati e sotto loro comando, dipendevano dal punto di vista amministrativo dall’esercito italiano ma prendevano ordini solo dall’8ª Armata britannica (fino a giugno 1944 V Corpo d’armata inglese e fino alla fine della guerra II Corpo polacco del generale Wladyslaw Anders), avevano tesserino militare da legittimi combattenti (209ª divisione di fanteria e poi 228ª) con uniforme inglese, mostrine tricolori al posto delle stellette regie e scudetto col profilo della Maiella sul braccio.

Il comandante nominale era Troilo, quello tattico il suo vice l’ex tenente della Regia Aeronautica Domenico Troilo (i due non sono parenti e neppure si conoscevano prima), ma la responsabilità di comando è inglese e poi polacca. Sono tutti volontari, possono andarsene a casa in qualsiasi momento, ma non ci sarà mai nessuna diserzione e nessuna richiesta di congedo nella fila della Maiella che arriverà a riportare la libertà fino ad Asiago, in Veneto, dopo essere entrata per prima a Bologna il 21 aprile 1945. Gli inglesi pensavano che con la fine della guerra in Abruzzo, nel giugno 1944, i patrioti si sarebbero sciolti, e invece avevano chiesto di rimanere in servizio e di continuare a battersi per gli altri italiani sotto occupazione nazifascista.

Costituita come unità di fanteria da montagna, con armamento pesante e persino un’unità di commandos, la Maiella aveva sempre più richieste di arruolamento di quante ne potesse accettare. È apartitica ma non apolitica, poiché sono tutti repubblicani e hanno rifiutato l’inquadramento nel Regio esercito per non giurare fedeltà ai Savoia sostituendo le stellette col nastrino tricolore. Quasi sempre in prima linea e impegnata sul fronte adriatico, dove libera diversi centri, era stata citata più volte per valore sui bollettini di guerra britannici, come a Monte Mauro dove i volontari agli ordini di Domenico Troilo colsero quella che venne definita dagli inglese “la vittoria impossibile”, tant’è che gli ufficiali tedeschi sconfitti e fatti prigionieri si congratularono cavallerescamente.

Non cantarono mai “Bella ciao”, come di recente si è persino cercato di affermare pur di dare una dimensione partigiana che la celebre canzone non ha mai avuto, perché, come raccontavano i veterani, non c’era tempo per cantare e comunque la formazione aveva inno e motivi propri.

Alla fine della guerra conterà 55 caduti e 151 feriti (di cui 36 mutilati), 15 medaglie d’argento al valor militare, un encomio solenne sul campo, 45 medaglie di bronzo, 145 croci di guerra, e altre decorazioni sul campo da parte dei polacchi. La medaglia d’oro, promessa signorilmente da Umberto di Savoia luogotenente del Regno agli irriducibili repubblicani, e non consegnata nel 1945 durante la cerimonia ufficiale con la Maiella già schierata in quanto annullata all’ultimo momento per motivi mai ben chiariti, sarà concessa dalla nuova Italia con vent’anni di ritardo perché all’epoca qualcuno si accorse che era la prima della guerra di liberazione e probabilmente apparve scabroso decorare la bandiera di una formazione irregolare. Poi si cercò persino di negare la verità, dimostrata da Ettore Troilo con un lungo e certosino lavoro di ricostruzione documentale.

La Brigata  Maiella, che peraltro solo sul tesserino inglese si chiamava così, è stata celebrata dal presidente Sergio Mattarella nella cerimonia ufficiale del 25 aprile 2018 che si è tenuta proprio a Casoli, dove tutto era cominciato nel 1943, a pochi chilometri dal Sacrario di Taranta Peligna che ricorda i patrioti caduti, sovrastato dalla montagna che diede il nome a una delle storie di uomini  più luminose della Resistenza.