“Quello nell’anno del Covid-19, è stato il peggio Capodanno di sempre”. Stefano Foti, siciliano, ha 33 anni e vive a Manly, nelle Northern Beaches, sobborgo che fino al 2 gennaio scorso è stato costretto al lockdown dopo che l’epicentro di un nuovo focolaio di virus è stato individuato ad Avalon subito prima di Natale.

In un’escalation di casi e norme sempre più restrittive, le Northern Beaches sono state prima sottoposte a restrizioni e poi divise in due aree: la penisola settentrionale (che va dal nord del ponte di Narrabeen fino ad est del tempio Baha’i), dove è ancora in vigore il lockdown più stretto, e quella meridionale, che oggi non è più zona rossa e che ha visto concessioni maggiori soprattutto durante i tre giorni festivi di Natale: 24, 25 e 26 dicembre.

Dalla Vigilia a Santo Stefano, infatti, seppur impossibilitati a lasciare la loro zona di residenza, i cittadini dell’area sud potevano accogliere in casa 10 ospiti, anche se provenienti da altri sobborghi di Sydney. 

“Ed è quello che abbiamo fatto”, racconta Stefano che, con la moglie italo-australiana, ha organizzato una cena con i parenti di lei, per lo più provenienti dall’Inner West di Sydney.

“Certo i nostri piani sono cambiati improvvisamente perché avevamo pensato di trascorrere il Natale fuori, a Jervis Bay, a casa di mio cognato. Ma le restrizioni lo hanno impedito. Però siamo rimasti in famiglia e non è andata male”.

Situazione diversa per la vigilia di Capodanno quando, a poche ore dal cenone tanto caro agli italiani, è arrivata un’altra tegola: nuovo cambio di regole, massimo 5 persone ospiti in casa e nessuno proveniente da altri sobborghi. 

“Sinceramente tutta la nostra famiglia vive in altre aree e qui, nelle Northern Beaches, non abbiamo molti amici. Per cui il Capodanno è stato in totale isolamento. Siamo rimasti solo io e mia moglie a cena, abbiamo atteso che sparassero i fuochi d’artificio, che abbiamo visto rigorosamente in tv, poi siamo andati al letto. Mai successo prima. Desolante”. 

Non sono stati solo i giorni festivi a risentire delle restrizioni, ma tutto il periodo di Natale. “Da quando siamo entrati in lockdown, sebbene i casi non fossero così tanti, Manly si è svuotata. Pochissima gente in strada. Tutti con le mascherine, anche se ancora non c’era l’obbligo e un rispetto rigoroso delle regole che, credo, sia stata la chiave per poter mantenere al minimo la diffusione del virus. Per lavoro mi è capitato di dover oltrepassare il ponte di Narrabeen e di raggiungere la penisola nord. Non ho avuto alcun problema, non ci sono controlli particolari ma le regole si rispettano”.

Il supporto della comunità delle Northern Beaches è stato determinante soprattutto per la campagna di test di massa voluta dal governo. Secondo i dati dell’ufficio di salute pubblica dello Stato, quasi il 40% dei residenti dell’area rossa si è sottoposta al tampone non appena è esploso il focolaio di Avalon. “Anche io e mia moglie abbiamo fatto il test – spiega Stefano – anche se non avevamo alcun sintomo. Abbiamo pensato fosse il caso di sottoporsi al test prima di Natale e siamo andati a una clinica drive-through, quella che ti consente si sottoporti al tampone senza neanche scendere dall’auto. Era superaffollata anche in tarda serata. Sono andato verso le 10 di sera pensando di trovare meno gente, eppure c’erano ancora una ventina di macchine in coda. Nonostante ciò, in meno di 24 ore, abbiamo ricevuto il messaggio con il risultato negativo del tampone”.

Sulle decisioni del governo e sull’improvvisa accelerata nell’imporre restrizioni nelle Northern Beaches, si è discusso tanto. 
“Personalmente avevo i miei dubbi, all’inizio. Però, a oggi, i numeri danno ragione alla politica messa in pratica per fermare la pandemia. Qui i casi sono rimasti veramente molto bassi, anzi, se consideriamo la penisola sud delle Northern Beaches, possiamo dire che da giorni siamo a contagio zero. Cosa penso dell’utilizzo obbligatorio della maschera protettiva? Credo che in questo momento sia giusto per tutelare soprattutto i più anziani e chi ha problemi. Nulla in contrario”.

Il Covid-19 ha cambiato le vite di tutti, ma non sempre in peggio. “Durante la pandemia ho cambiato lavoro - conclude Stefano -. Dopo dieci anni trascorsi in cucina come chef, da qualche mese lavoro come piastrellista. Ho già imparato tanto e spero di continuare così. Devo dire, però, che sono stato anche fortunato a incontrare la persona giusta che mi ha offerto un’opportunità”.