ROMA - “Emanuela Orlandi era un fatto tutto vaticano ed è stata presa in consegna da alcune suore fin dall’inizio, ha compreso l’importanza del suo ruolo e lo ha accettato serenamente’’. E’ la nuova versione riferita da Ali Agca in una lunga lettera, di cui dà notizia un quotidiano nazioonale, inviata a Pietro, fratello della ragazza, cittadina vaticana, scomparsa il 22 giugno 1983. “So di lei soprattutto grazie a un padre spagnolo che mi ha visitato in Italia e anche qui a Istanbul - ha aggiunto il turco che sparò a papa Wojtyla -. Un uomo, un religioso, animato da una fede autentica, che conosce i misteri del mondo e che non mente’’. Agca incontrò già Pietro Orlandi nel 2010 a Istanbul, un incontro “di cui si seppe solo tempo dopo’’.
Nella prima parte della lettera, il turco parte dalla vicenda dell’attentato del 1981, che lo vide protagonista. “Non aveva alcun mandante, nessuno mi ha chiesto di uccidere il papa e nessuno mi ha pagato per farlo. In piazza San Pietro ero solo e ho sparato due colpi. Quelle che erano le mie motivazioni di allora - ha affermato - sono indicate chiaramente nella lettera che scrissi nel 1979 in occasione della visita di Wojtyla in Turchia’”. Il riferimento è a una lettera che lo stesso Agca inviò il 27 novembre 1979 a un giornale turco “in cui egli stesso, sostanzialmente, minacciava che avrebbe colpito Giovanni Paolo II se il pontefice, ddefinito “il capo dei crociati”, avesse fatto visita al suo paese.
Agca ha ribadito dunque che “la ‘pista bulgara’’ è una completa invenzione, interamente costruita a tavolino dai servizi segreti vaticani e dal Sisde, il servizio segreto civile italiano, con la benedizione della Cia di Ronald Reagan, il maggiore alleato di papa Wojtyla”. “I rapimenti di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori furono decisi dal governo vaticano ed eseguiti da uomini del Servizio segreto vaticano. La trattativa pubblica era ovviamente una sceneggiata ben orchestrata da pochi alti prelati operanti all’interno dei servizi vaticani’’ ha concluso Agca nella lunga lettera.