SYDNEY - Tuttavia, il loro impatto ambientale, soprattutto in termini di consumo d’acqua, è destinato a crescere in modo vertiginoso. Sydney Water stima che, se oggi il comparto utilizza 3,5 miliardi di litri l’anno — meno dell’1% della domanda cittadina — entro il 2035 la cifra potrebbe salire fino a coprire il 25% della fornitura annuale di acqua potabile. Un aumento paragonabile alla capacità di un impianto di dissalazione come quello di Sydney, che copre circa il 15% del fabbisogno.
Il nodo principale è il raffreddamento dei server: macchine ad alto consumo energetico che, senza sistemi di dissipazione termica, rischiano il collasso. Tradizionalmente, il raffreddamento avviene tramite torri evaporative o sistemi a chiller, che implicano una grande dispersione di acqua. Oggi, con oltre 260 data centre in Australia, di cui 89 solo a Sydney, la pressione sulla rete idrica urbana è evidente.
Alcune aziende hanno già sperimentato soluzioni sostenibili. CDC, nata a Canberra durante la siccità del Millennio, ha sviluppato un sistema a circuito chiuso capace di risparmiare fino a 5 miliardi di litri l’anno. Altre stanno testando raffreddamenti “direct-to-chip” o sistemi di immersione. Tuttavia, gran parte delle strutture continua ad attingere all’acqua potabile.
Per questo motivo Sydney Water propone di sfruttare acque reflue trattate, in grado di garantire la qualità necessaria per i sistemi di raffreddamento senza intaccare le risorse destinate alla popolazione. “Preparare i data centre a non usare acqua potabile significa tutelare il futuro approvvigionamento della città”, ha dichiarato il responsabile James Harrington.
Il problema si concentra in zone come Macquarie Park, dove si addenza la presenza di numerosi centri di calcolo e il loro consumo stimato potrebbe arrivare a 30 megalitri al giorno, pari al 2% della domanda cittadina. Le autorità locali avvertono del rischio di forte impatto anche su suolo e vegetazione.
A livello internazionale emergono modelli innovativi: a Perth, il supercomputer Setonix del Pawsey Research Centre utilizza il raffreddamento geotermico con falde sotterranee, risparmiando oltre 7 milioni di litri l’anno. Tuttavia, questo approccio richiede condizioni geologiche particolari e investimenti iniziali elevati.
Gli esperti sottolineano un paradosso: l’intelligenza artificiale, che consuma enormi risorse per addestrare i modelli, viene spesso promossa come strumento per affrontare le sfide climatiche. Ma ogni richiesta a un chatbot o a un generatore testuale richiede energia e acqua a monte.
L’Australia, che punta a diventare un hub globale per i centri dati, si trova così davanti a una sfida complessa: conciliare crescita digitale e sostenibilità ambientale. La “corsa all’IA” rischia di diventare insostenibile se non accompagnata da tecnologie di risparmio idrico e da una pianificazione lungimirante delle infrastrutture.