Se “a Carnevale ogni scherzo vale”, il 1° d’Aprile non è da meno. La tradizione riserva a questa giornata una serie di burle ai danni di un malcapitato di turno: amici, compagni, colleghi lo incaricano di svolgere commissioni impossibili (per esempio, andare a comprare una bottiglia di “olio di gomito”), gli fanno credere a notizie false e strampalate o gli attaccano sulla schiena, ovviamente a sua insaputa, un cartello con un pesce disegnato sopra.
Le origini di questa tradizione non sono mai state del tutto chiarite, tanto che – scrive Carlo Lapucci nel suo saggio introduttivo al libro “Breve storia del pesce d’aprile” di Giuseppe Pitré (Graphe.it edizioni) – “il più̀ riuscito pesce d’aprile è forse la stessa ricerca dell’origine dell’usanza del pesce d’aprile”. Sappiamo che questa tradizione è diffusa in Europa e in America del Nord, ma sulle sue origini “ognuno ha sbrigliato la propria fantasia”, contribuendo a creare una sorte di leggenda delle leggende. Pare che le origini siano giudaico-cristiane: la tradizione fa coincidere con il 1 aprile la nascita di Caino, poi condannato a vagare per il mondo senza costrutto, proprio come le vittime designate degli scherzi; secondo altre versioni il 1 aprile coinciderebbe con il primo giorno del mondo dopo la creazione, quando regnava il caos perché gli esseri viventi non avevano ancora chiaro quale fosse il loro posto e il loro compito.
Inoltre l’inizio di aprile, nell’emisfero Nord, coincide con i primi giorni di primavera, quando il tempo è instabile e spesso gioca qualche scherzetto.
Il pesce d’aprile più antico di cui si ha notizia in Italia risale al XIII secolo, quando Buoncompagno da Signa, illustre professore dell’Università di Bologna (fondata nel 1088, la più antica del mondo), annunciò di avere inventato un marchingegno che gli permetteva di volare. Il giorno della presunta dimostrazione si presentò con un enorme paio di ali cucite sul vestito, ma spiegò che il volo non poteva essere effettuato a causa del vento sfavorevole.
Non è chiaro nemmeno perché lo scherzo venga definito “pesce”: l’espressione è usata per la prima volta in Francia nel 1655, per l’Italia bisognerà aspettare il 1875.
Persino giornali e televisioni serissimi, in questa giornata, si concedono un po’ di leggerezza. Tra i pesci d’aprile più celebri, quello di Nature nel 2015, che preannunciava un fantomatico ritorno dei draghi, a causa dei cambiamenti climatici. O l’annuncio della Bbc sulla scoperta di pinguini volanti. Un pesce d’aprile al 100 per cento italiano risale al 1998 e riguarda il cantante Lucio Battisti (che sarebbe morto pochi mesi dopo). Un giornalista musicale annunciò l’uscita di un nuovo album dal titolo emblematico: “L’Asola” (con evidente assonanza con “la sola”) con una canzone intitolata “Amo o non amo”, chiaro riferimento a chi abbocca agli scherzi. Gli indizi però non vennero colti e alcuni giornali pubblicarono la notizia, credendola vera.
Oggi architettare un pesce d’aprile ben riuscito è davvero difficile, perché la tecnologia rende possibili verifiche incrociate, ma il flusso continuo di notizie a cui siamo sottoposti sembra accompagnato da un aumento della credulità, soprattutto quando il falso viene raccontato con un’abbondanza di dettagli che lo rendono plausibile. È il caso dei vermi giganti che avrebbero popolato Marte in un passato nemmeno tanto lontano, come pubblicato dal quotidiano La Stampa nel 2001. Nel 2020, in piena pandemia, il quotidiano locale ValleUmbraSport annunciò che, lungo la pista ciclabile Spoleto-Foligno-Assisi, si sarebbe disputato il Campionato del mondo di corsa di nudisti, organizzato in collaborazione con la World Federation Nudist.
Insomma, una volta all’anno fare scherzi è davvero divertente e, entro certi limiti, lo è anche per chi li subisce. L’importante è che tra l’autore e la vittima designata non ci sia un’eccessiva disparità di potere, per non trasformare la risata condivisa in un abuso o in mobbing, nel caso di ambienti di lavoro. Un’indicazione sul comportamento più corretto ci arriva dalla saggezza popolare, secondo cui “è bello il gioco quando dura poco” e soprattutto “chi la fa l’aspetti”.