Il volto del Tesoriere Jim Chalmers, in conferenza stampa martedì pomeriggio pochi minuti dopo l’annuncio dell’ennesimo rialzo dei tassi di interesse deciso dal Consiglio della Reserve Bank diceva molto di più delle misurate parole utilizzate dal ministro del Tesoro nel commentare la decisione della banca centrale.

Molto teso Jim Chalmers, consapevole che la scelta del Consiglio guidato da Philip Lowe ha conseguenze politiche molto importanti che inevitabilmente verranno collegate a quanto messo in campo, non troppe settimane fa, dal suo governo nella sua prima, vera, manovra finanziaria.

Una manovra che l’opposizione, nel pieno del gioco delle parti, ha bocciato sin da subito e su cui ha rinnovato le critiche anche nei giorni scorsi, poiché ritenuta, parole del ministro ombra del Tesoro, Angus Taylor, propria di un “governo che non ha preso seriamente il problema dell’inflazione”.

La riduzione del potere d’acquisto dovuta all’aumento dell’inflazione, lo sanno bene sia a Martin Place sia a Canberra, è rischioso per l’economia del Paese ma, soprattutto, ha un peso rilevante a carico delle fasce più vulnerabili della popolazione e su questo nelle ultime ore si è scatenato una sorta di ‘tutti contro tutti’.

Intanto, nelle stanze dei vertici della Reserve Bank la barra resta dritta verso l’obiettivo di ridurre al 2-3% l’inflazione, un obiettivo ancora troppo distante che, quindi, ormai è certo, richiederà ulteriori interventi, al rialzo, del costo del denaro.

Ma la tensione resta palpabile e la relazione non proprio idilliaca tra il Tesoriere e il governatore della Reserve Bank in queste ore ha raggiunto nuovi picchi, con tutto il peso politico, ovviamente, sulle spalle di Jim Chalmers.

A poco più di un anno da quando il governo laburista è entrato in carica, le scelte di politica economica di Albanese e Chalmers sono infatti un elemento decisamente centrale, in termini di costruzione di una solida legislatura che possa poi, eventualmente, portare a un secondo mandato. Tirare fuori il Paese dal guado di una possibile recessione è una impresa ardua, e riuscire a farlo consegnerebbe a questo governo una importante dote di credibilità. 

Philip Lowe, invece, è a fine corsa; dopo settembre sembra difficile che possa restare a capo della Banca centrale australiana e chiunque prenderà il suo posto, almeno sulla base delle dichiarazioni del ministro del Tesoro, e di quanto previsto nelle raccomandazioni della revisione della RBA, potrà comunque godere di quella indipendenza che consentirà di procedere, in autonomia rispetto al governo, con le scelte di politica monetaria ritenute più utili per gestire, come in questo caso, cicli di alta inflazione.

Una forma di indipendenza funzionale, occorre dirlo, anche per il governo, e la presa di distanza di Chalmers, a pochi minuti dall’ennesimo intervento al rialzo della RBA, sembra proprio dimostrarlo. In cruda sintesi è un po’ come affermare: “Noi ce la mettiamo tutta per risollevare le sorti dell’economia ma non dipende da noi se un istituzione indipendente insiste su questa rigida linea”.

Purtroppo però, nonostante la corsa allo scarico di responsabilità, un’altra notizia ha aggiunto benzina sul fuoco delle polemiche delle ultime ore: nei dati pubblicati ieri pomeriggio dall’ABS, l’istituto di statistica fotografa un brusco rallentamento dell’economia nella trimestrale di marzo, con la crescita del Prodotto interno lordo (Pil) reale che è scesa allo 0,2%, dallo 0,6% del periodo precedente, con una crescita su base annua del 2,3%, in calo rispetto al 2,7% della fine del 2022.

Ma se ci si fosse fermati a questo dato, si sarebbe anche potuto tirare un sospiro di sollievo; in fondo il rallentamento dell’economia e dell’inflazione è proprio l’obiettivo della corsa al rialzo dei tassi di interesse della RBA. Fermo restando che su questo aspetto, sia Lowe sia Chalmers sanno bene che il ‘percorso’ è impervio e non privo di incertezze e pericoli. Si può rallentare l’economia usando le ‘maniere forti’ senza provocare una recessione? Lo scopriremo presto, sicuramente con la trimestrale del Pil di giugno, che sarà quella dove si faranno sentire gli interventi della banca.

Tornando all’oggi, nei dati dell’ABS si evidenzia un altro aspetto – questo sì –, più preoccupante: l’indice di produttività è crollato del 4,6% su base annua, il più grande calo mai registrato.
Sulla produttività che non spinge verso l’alto non c’è intervento di politica monetaria che possa far molto, e la palla passa quindi alla politica, al governo. 

Ma anche lì, è illusorio pensare che si possa far cambiare passo all’indice di produttività in un breve periodo, e l’incertezza evidenziata dal governatore Lowe trova conferma anche nelle parole del ministro della Finanze, Katy Gallagher: “Non cambieremo [la recente scarsa performance di produttività] in 12 mesi”.

Produttività in calo e salari in aumento sono indicatori che consegnano un messaggio ben chiaro al governo, e le scelte di Albanese e della sua squadra sul fronte della riforma delle relazioni industriali sono ovviamente sotto i riflettori. Aumentare i salari senza che vi sia un adeguato aumento della produttività, infatti, potrebbe rendere ancora più complesso portare l’inflazione alla cifra obiettivo del 2-3%.
Il fronte di attenzione maggiore da parte della RBA è sul temuto rischio di una ‘spirale salari-prezzi’, con le imprese che, a fronte di un aumento del costo del lavoro, potrebbero a loro volta aumentare i prezzi dando il via a un pericoloso circolo vizioso.

Il governo (e i cittadini) sono avvisati: altri aumenti dei tassi di interesse restano nel mirino del Consiglio della Reserve Bank, con o senza Philip Lowe a bordo, e, stando così le cose, non è del tutto da escludere che possa essere raggiunta la soglia del 5% del tasso ufficiale di sconto, prima di vedere un robusto calo dell’inflazione.

E questa non è, certamente, una buona notizia per nessuno.