Per i politici funziona sempre: hanno il cervello allenato a far sembrare di essere sempre felici e sorridenti anche quando dentro è tutta un’altra storia. Nulla sembra, infatti, andare per il verso giusto per Scott Morrison. Non importa quanto ci provi, ultimamente tutto sembra andargli storto.

Eppure resiste, rimane in equilibrio e magari ci crede davvero, sfoderando un sistema immunitario psicologico che gli permette in qualche modo di restare positivo mentre si prepara ad affrontare le cinque o sei settimane che saranno cruciali per il suo futuro politico. Al momento le circostanze interne ed esterne sono decisamente sfavorevoli.

Neanche il tempo di arrivare ai commenti a caldo sul bilancio presentato da Josh Frydenberg che la senatrice Concetta Fierravanti-Wells sposta l’attenzione dei media, con un attacco in Aula che più diretto e distruttivo non poteva essere nei confronti del primo ministro.

Poco meno di 48 ore dopo arriva un budget d’alternativa pieno di buone intenzioni, ma privo di qualsiasi concretezza dal punto di vista di costi e coperture finanziarie. Ancora una volta neanche il tempo di trarre qualche minimo vantaggio (almeno dal punto di vista della Coalizione) dalla mancanza di ‘numeri’ che arriva la relazione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) che, contrariamente al passato, indica sì un minimo di ottimismo sui traguardi per evitare la punta di non ritorno sul surriscaldamento globale, ma sottolinea anche che bisogna fare di più.  Gli investimenti economici per la lotta ai cambiamenti climatici sono da tre a sei volte inferiori ai livelli necessari, entro il 2030, per limitare il rialzo termico al di sotto dei 2 gradi centigradi.

E l’Australia della Coalizione, che ha saltato a piè pari la possibilità di ritocchi sull’obiettivo intermedio concentrandosi sulle emissioni zero nette del 2050, non è sicuramente fra i Paesi leader nella classifica della ‘mitigazione’ del problema. Quindi munizioni extra per i laburisti che hanno scelto qualche attenzione in più sui traguardi di tappa (riduzione del 43 per cento delle emissioni invece di accontentarsi del 27 per cento dell’accordo di Parigi). Per la prima volta, comunque, il catastrofismo non è dietro l’angolo secondo gli scienziati dell’Ipcc, anche se l’allarme rimane: “Ce la possiamo fare”, dicono, ed è possibile addirittura dimezzare le emissioni entro il 2030, ma bisogna fare di più sul fronte della transizione energetica.

“Senza una immediata e profonda riduzione delle emissioni in tutti i settori, limitare il riscaldamento globale a 1,5° è fuori portata”, è scritto nel rapporto appena pubblicato. E per farlo serve “una sostanziale riduzione dell’uso di combustibili fossili, una migliore efficienza energetica e l’uso di combustibili alternativi (come l’idrogeno)”, si legge ancora nel Summary for Policymakers. Qualche problema in più quindi per Morrison e di nuovo il Queensland, con le sue miniere e la sua imprevedibilità (date le scelte extra che nascono tutte lì, come quelle offerte da Pauline Hanson e Clive Palmer), al centro dell’attenzione elettorale. 

Il leader dell’opposizione, Anthony Albanese, facendo campagna proprio nello Stato in questione, lunedì scorso si è lasciato andare dichiarando che il suo partito è ben posizionato per poter vincere diversi seggi, essendo altamente competitivo in almeno dieci collegi. Gli strateghi Alp, con maggiore realismo, hanno però frenato gli entusiasmi sottolineando che non c’è lo stesso clima elettorale del 2007 (generato dall’allora leader ‘di casa’, Kevin Rudd) e che la conquista di due di quei dieci seggi sarebbe già un notevole successo.

Longman è decisamente a portata ed è l’obiettivo numero uno; Brisbane è al secondo posto e qualche speranza, nel caso di ‘ondata’ laburista a maggio, c’è anche per Leichhardt (nell’area di Cairns). Albanese però ha messo sul taccuino delle possibilità anche Flynn, Capricornia, Petrie, Dickson, Forde e Bowman e si è ripromesso di ritornare con una certa regolarità nei collegi in questione prima della resa dei conti delle urne.   

Meno possibilità di vedere l’aspirante primo ministro all’opera nel Victoria, definito dall’ex capo di governo liberale John Howard, il Massachusetts d’Australia, per le sue tendenze progressiste sempre più marcate nell’arco degli ultimi due-tre decenni. Si parte con i liberali a quota 12 su 38 seggi in gioco. Per i laburisti 21 i collegi da difendere più uno nuovo (Hawke) virtualmente già assegnato in base ai risultati delle precedenti elezioni nell’area che lo ospita. Per Albanese obiettivo principale, e più che mai a portata, il collegio di Chisholm, che la liberale Gladys Liu ha conquistato nel 2019 con un margine di solo lo 0,5%.

Da difendere invece, con sondaggi più che incoraggianti, i seggi ‘marginali’ di Dunkley e Corangamite. Potrebbe essere più aperta del previsto la battaglia per Higgins (della liberale Katie Allen), McEwen (laburista con un margine dl 5,3% che comprende le aree, immediatamente al di fuori dei confini metropolitani, di Gisborne, Macedon, Kilmore, Wallan, Whittlesea, Diamond Creek) e Latrobe (liberale con un margine del 5,1%). Ma interessanti anche le situazioni nei collegi di Kooyong e Goldstein - rispettivamente rappresentati dal ministro del Tesoro Frydenberg e del ministro assistente per l’Energia e la Riduzione delle emissioni, Tim Wilson, con le sfide - sponsorizzate dal miliardario ambientalista Simon Holmes a Court con l’organizzazione Climate 200 - delle indipendenti Monique Ryan e Zoe Daniel.

Indipendenti, con legami e simpatie più o meno forti con laburisti e verdi, in campo anche in altre ex roccaforti liberali come Wentworth, North Sydney e Mackellar nel NSW) e Flinders nel Victoria: potrebbero andare a rafforzare la squadra dei partiti minori e indipendenti, già piuttosto consistente, di Canberra. Una squadra - formata da Zali Steggall (Warringah, NSW), Andrew Wilkie (Clark, Tasmania), Helen Haines (Indi, Victoria), Rebekha Sharkie (Majo, SA), Bob Katter (Kennedy, Qld) e Adam Bandt (Melbourne) – che potrebbe diventare l’ago della bilancia nel caso che né la Coalizione, né i laburisti riuscissero ad ottenere la maggioranza, come già successo nel 2010. L’esperimento non è stato di certo tra i più memorabili per la stabilità del governo e la qualità del dibattito, con gli indipendenti, con passato nei Nazionali, Tony Windsor e Rob Oakeshott che hanno permesso (assieme a Bandt e Wilkie) la sopravvivenza del governo guidato da Julia Gillard.

In questo 2022, a parte le incognite di volti nuovi che non dovrebbero comunque comprendere -secondo i sondaggi - alcun rappresentante dello United Australia United Party, nonostante i 100 milioni e più di dollari che il suo fondatore Palmer sta spendendo in una tambureggiante e irritante campagna iniziata un anno fa, in caso di parità alle urne c’è solo la certezza dell’appoggio ad Albanese di Bandt e Wilkie. Steggall, Haines e Sharkie invece si troverebbero esattamente nella stessa situazione di Windsor e Oakeshott: indipendenti sì, ma in un elettorato tradizionalmente più conservatore che laburista. Mano libera invece nel collegio di Kennedy per Katter che potrebbe decidere in base a dirette richieste e convenienze.

I sondaggi comunque sembrerebbero escludere la possibilità del pari, con i laburisti che mantengono un solido vantaggio, a malapena scalfito dal budget di Frydenberg. Su Morrison poi sta ormai piovendo di tutto: critiche e accuse personalizzate, perfino su presunte dichiarazioni che non gli fanno onore, risalenti alle preselezioni per il seggio che l’ha portato in Parlamento nel 2007. La tattica del bersaglio minimo scelta da Albanese sta indubbiamente funzionando al punto che martedì, il ministro ombra del Tesoro, Jim Chalmers, nel suo intervento al Circolo della stampa ha rispolverato lo slogan di Rudd delle spese ragionate, della qualità degli obiettivi da raggiungere, della ‘fine degli sprechi’ assicurando che non ci saranno nuove tasse pur ammettendo di non essere un ‘fan’ del tetto fiscale del 23,9 per cento del Pil fissato da Frydenberg. Quindi ancora una volta dettagli minimi all’insegna del ‘fidatevi di noi’, con la promessa di un secondo budget, con costi e programmi si immagina, dopo il cambio della guardia a Canberra.

Ormai manca solo la data di una gara che sembra piuttosto scontata come esito, nonostante i dubbi che continuano a circondare Albanese. Tutto in politica può cambiare in un attimo, ma nel quadro attuale della situazione una riconferma della Coalizione sarebbe piuttosto sorprendente e nel caso di miracolo non parlerebbe solo Morrison.