A Natale, mentre molti ricevevano libri o scatole di cioccolatini, Felice Montrone, filantropo e volto noto della comunità, ha deciso di regalarsi qualcosa di molto più prezioso: un mese per se stesso.
Dopo una vita spesa a fare tutto per gli altri, ha sentito il bisogno di camminare, in solitudine, con uno zaino sulle spalle, per riflettere e ringraziare.
Così, a maggio di quest’anno, ha percorso 550 chilometri lungo il Camino Francés, il tratto più celebre del Cammino di Santiago, partendo da León e attraversando la Spagna fino a Santiago de Compostela.
L’idea è nata quasi per gioco: “A Natale mi sono chiesto cosa desiderassi davvero. Nessuno poteva regalarmelo, perché era qualcosa che potevo darmi solo io: del tempo per me stesso”.
Dopo aver condiviso l’intento con sua moglie Miranda, che inizialmente si è mostrata titubante per questa ambiziosa avventura, Felice è stato messo in contatto con suor Veronica, una domenicana che aveva già percorso il Cammino più volte.
La suora, dopo aver verificato la sua condizione fisica e il suo impegno, lo ha accolto nel gruppo.
Da gennaio ad aprile, Felice si è allenato con determinazione, macinando tantissimi chilometri al mese.
E così a maggio è partito con un gruppo di sei pellegrini, due uomini e quattro donne.
Da Madrid si sono diretti in treno a León, dove ha avuto inizio la loro avventura.
Ogni giorno si sono svegliati alle 5am, sono partiti alle 5.30am, hanno fatto colazione dopo i primi 10 chilometri, un pranzo frugale a metà strada e poi sono arrivati nel villaggio successivo, dormendo in dormitori appositamente adibiti lungo il percorso per permettere agli avventurieri di sostare e rifocillarsi, per poi ripartire il giorno dopo.
Ogni mattina, la prima ora di cammino si è svolta in silenzio, dedicata alla riflessione e alla preghiera. Alla sera, la vita semplice degli ostelli: camerate da 40-50 letti, docce condivise, panni lavati a mano e stesi al sole.
Poi, i momenti di scambio con altri pellegrini, provenienti da ogni angolo del mondo: italiani, francesi, australiani, americani, inglesi. In venti giorni Montrone e il gruppo di irriducibili hanno percorso 550 chilometri: “Il Cammino ha messo tutti sullo stesso piano: umili, stanchi e vulnerabili e si è rivelato una vera e propria scuola d’umanità”.
“Tutti erano in cerca di qualcosa: perdono, trasformazione, risposte. Io volevo solo ringraziare Dio per la vita che mi ha regalato”, ha ammesso Montrone.
In questa missione personale non ha, però, dimenticato la comunità italiana, portando con sé 432 intenzioni affidategli da amici, tutte trascritte su bigliettini di carta e custodite in un piccolo zaino, che ha depositato poi nel santuario di Santa María la Real do Cebreiro, una tappa intermedia molto importante del Cammino per il suo valore spirituale.
Durante il viaggio, Felice ha aiutato diversi pellegrini in difficoltà, accompagnandoli a valle e cercando di motivarli il più possibile.
Tra loro, vi era anche una donna chiamata Jenny, ben preparata fisicamente, ma lungo il percorso ha dovuto affrontare un momento di profonda crisi personale e psicologica, data la difficoltà dell impresa. Per sostenerla, Felice le ha narrato il libretto della Cavalleria Rusticana e poi le ha fatto ascoltare l’opera dal cellulare: “È passata un’ora e un quarto senza che se ne accorgesse, siamo arrivati al villaggio e lei si era ripresa completamente”.
Felice ha descritto il Cammino come una prova a tre livelli: “Ti fa l’esame fisico, mentale e spirituale, tutti e tre assieme. E non puoi mentire a te stesso: o lo superi, o torni indietro. Mi ha cambiato la vita, mi ha reso più umile”.
Felice Montrone non ha percorso il Cammino per un motivo preciso ma da credente cattolico e praticante, per mostrare gratitudine con la consapevolezza che “il cammino non è solo una strada da percorrere, ma per la sua capacità di connetterti con il senso più autentico della vita è dentro ognuno di noi”.