BUENOS AIRES – Per la maggioranza degli argentini Fernando “Chino” Navarro è identificato con il Movimento Evita, che però ha lasciato all’inizio di quest’anno. Molti lo ricordano per il periodo trascorso nel governo di Alberto Fernández, dove è stato segretario per le Relazioni parlamentari e poi segretario per le Relazioni con la società civile e lo sviluppo comunitario.
Pochi, però, sanno che è un attivista “da sempre”: i suoi inizi in politica risalgono al periodo della scuola secondaria a Río Negro. A quel tempo viveva nella casa dove la madre lavorava come domestica. È stato cresciuto da lei e dai suoi datori di lavoro, “con molto amore”. È stata proprio quella famiglia a dargli l’opportunità di continuare gli studi dopo la fine della scuola. Si è laureato come avvocato, anche se con qualche anno di ritardo a causa dei numerosi impegni politici e sociali.
Sono passati 40 anni dai suoi primi incarichi elettivi, a Lomas de Zamora (zona Sud del conurbano boarense), nelle file del Partido Intransigente (PI); un poco meno dall’ingresso nel Partido Justicialista (PJ), negli anni Novanta. Nel 2024 ha lasciato anche quest’ultimo. In precedenza, aveva lavorato a stretto contatto con Néstor Kirchner e con le organizzazioni sociali.
El “Chino” Navarro conosce bene i quartieri popolari, le villas e gli insediamenti informali di Buenos Aires e del conurbano, soprattutto quelli della zona Sud, dove ha vissuto per molti anni.
Oggi è un imprenditore (anzi, un “piccolo imprenditore”, come lui stesso si definisce). Ma non è tanto per questa sua nuova attività commerciale che è stato inviato alla Cena del Lunes del Círculo Italiano de Buenos Aires a fine ottobre, quanto per raccontare la ben più lunga traiettoria in campo politico e sociale e l’evoluzione del suo pensiero.
La sua testimonianza, davanti al pubblico del Círculo (tradizionalmente appartenente a correnti di pensiero opposte, ma con molta voglia di capire e confrontarsi), inizia con una forte critica al modo di fare politica che ha prevalso negli ultimi anni in Argentina, anche in aree di cui lui stesso faceva parte.
Giustifica la sua attuale distanza dalla militanza in prima linea e dai ruoli dirigenziali con il fatto che “chi di noi viene dalla politica deve reimparare le pratiche di gestione della ‘cosa pubblica’ e il modo di intendere la società”. Dice di non avercela con la politica, ma “con i politici”, compreso lui stesso.
Afferma che attualmente in Argentina non si discute del ruolo dello Stato “in termini moderni”: al contrario, si pensa che i problemi siano gli stessi degli anni ‘50, “quando la maggior parte delle persone aveva un lavoro o studiava”. E riflette su premesse che lui stesso ha sostenuto per molto tempo: “Pensavo che si potesse vivere con tre o quattro punti di inflazione, ma la verità è che non è così: l’inflazione disorganizza la società”.
La spirale inflazionaria ha un impatto sia sui lavoratori, sia sugli imprenditori. I prodotti arrivano senza prezzi perché questi ultimi aumentano da un mese all’altro (basta ricordare le ultime due svalutazioni avvenute nel 2023). Nessuno fa scorte perché non è economicamente conveniente e così le merci scarseggiano quando aumenta la domanda, facendo schizzare ancora più in alto i prezzi. Per chi deve investire è impossibile fare previsioni.
Lo stesso vale, dice, per il deficit nei conti pubblici. Oggi Navarro (proprietario di tre locali in franchising di una nota catena di caffetterie di Buenos Aires e azionista di minoranza di due supermercati a La Plata) sostiene che non è pensabile per un’azienda chiudere i bilanci costantemente in rosso. E neppure per lo Stato.
“A un certo punto ho pensato che fosse possibile – afferma –. Ma la verità è che si può fare in pochi momenti specifici nella storia di un Paese – riflette –. “Né possiamo pensare di poter imitare gli Stati Uniti. Loro il deficit sono in grado di mantenerlo ma hanno qualcosa che noi non abbiamo: la gestione del dollaro”.
Per Navarro, dopo la presidenza di Javier Milei – con o senza rielezione – deve entrare in politica “qualcosa di nuovo”. Volti che non siano quelli di sempre e idee che possano andare oltre i discorsi e “passare all’azione”. Un cambiamento che deve avvenire “tra tutti gli attori”.
Riconosce che Milei ha un ampio sostegno popolare, anche se negli ultimi mesi la sua immagine positiva è diminuita. E si arrabbia davanti alla constatazione che dal 2001 la povertà e l’insicurezza non sono diminuite, ma anzi sono aumentate.
I livelli di povertà continuano ad aumentare e i settori popolari hanno subito il peso del brutale aggiustamento della spesa pubblica nei primi mesi del governo di Javier Milei. Con queste premesse – chiede e si chiede – “perché i movimenti popolari non si stanno mobilitando come hanno fatto durante il governo di Alberto Fernández?”
“Questo governo ha esercitato una politica molto ferma di controllo delle strade – afferma Navarro –. Minaccia di togliere sussidi e sociali a chi va a manifestare, ha denunciato penalmente persone che si sono mobilitate”.
In ogni caso, l’ex leader sociale ritiene che, così come non è giusto che le manifestazioni vengano represse, le organizzazioni in passato sono scese in piazza in modo eccessivo. “Ci possono essere situazioni eccezionali in cui è opportuno interrompere una strada, lasciando sempre l’accesso ad almeno una corsia in modo che le persone possano passare – sostiene –. Fanno parte della vitalità della democrazia. Ma il livello di mobilitazione che abbiamo visto in passato è stato folle”.
Traduzione di Francesca Capelli