“La Corte Suprema del Sud Australia ha emesso un decreto di divorzio, che ha implicitamente riconosciuta la validità giuridica dei matrimoni per procura celebrati in Italia”, si legge in un articolo de Il Globo del 30 dicembre 1959, che racconta la storia di Maria Pia Sartoni, originaria di Monsummano Terme (in provincia di Pistoia). 
Maria Pia rifiutò di convivere col marito sposato per procura, il giovane Pellegrino Manto, che si attivò legalmente per procedere con il divorzio per abbandono di tetto coniugale e adulterio. Forse Maria Pia ebbe un ripensamento sulla nave che la portò fino in Australia, fatto sta che abbandonò il marito e i due ottennero il divorzio. 
Altri casi vennero documentati sulle pagine del nostro giornale, essendo il matrimonio per procura pratica comune tra il 1945 e il 1976, periodo in cui 12mila donne italiane si sposarono così in Italia per poi emigrare in Australia per incontrare, spesso per la prima volta, il marito.
Durante il dopoguerra e in seguito alla grande immigrazione di italiani oltreoceano in cerca di fortuna, molti uomini si ritrovarono soli, in età da matrimonio e non interessati a una relazione con una donna che non fosse italiana, a causa di barriere linguistiche e culturali. 
Siccome all’epoca l’emigrazione era principalmente maschile a causa di richiesta di lavori nell’edilizia o nei campi, ebbe così  inizio una pratica che divenne comune: il matrimonio per procura, ossia la celebrazione dell’unione tra due persone residenti in Paesi differenti, in cui uno dei coniugi veniva sostituito da un altra persona (ad esempio, il padre o il fratello della sposa); questa pratica venne autorizzata dalla Chiesa cattolica nel sedicesimo secolo dopo il Concilio di Trento.
La pratica aveva inizio con lo sposo che si rivolgeva alla famiglia per chiedere ausilio nella ricerca della compagna giusta; si poteva trattare di una conoscente o di una totale sconosciuta in molti casi, ma il fattore indispensabile era l’italianità.
“Avevo solo 16 anni quando i genitori di mio marito Vincenzo si presentarono a casa mia con una sua foto e una lettera. A primo impatto dissi ‘Assolutamente no! Non andrò mai in Australia’, poi quando mi mostrarono la foto, cambiai idea”, ha raccontato al giornale Carmela Rocca, che ha sposato per procura suo marito nel 1957. 
Quella di Carmela è una storia a lieto fine, ma certo non priva di ostacoli durante il suo percorso: partita da Roma in aereo un mercoledì sera e arrivata a Melbourne di sabato sera, quello dell’Australia per lei era un sogno: “In Italia non mi mancava nulla; andavo a scuola e i miei genitori hanno fatto tutto per noi figli. Ma io ho sposato l’avventura! Ecco perché sono partita!”. 
Il giorno del suo matrimonio, non fu come lo aveva immaginato: a interpretare la parte dello sposo fu suo fratello e  Carmela racconta di aver chiesto al futuro marito di spedirle una rivista di moda, per poter cucire un vestito da sposa in stile australiano. 
Vincenzo non partecipò alla cerimonia per motivi economici; anche questo fu un dettaglio ricorrente, come spiega Susi Bella Wardrop nel suo libro By proxy, a study of Italian proxy brides in Australia: “Molti uomini non ebbero la possibilità di tornare in Italia. Alcuni ci riuscirono, ma la maggior parte preferirono spendere i soldi guadagnati dal duro lavoro per pagare la caparra per una casa”.
Il marito di Carmela aveva infatti comprato casa a Brunswick, luogo in cui abitarono per i primi sei mesi, prima di trasferirsi in campagna: “Il primo anno mi sono occupata della casa e di mio marito, poi ho iniziato a lavorare nei campi. Per me la vita era andata indietro, invece che in avanti”. 
L’esperienza di Carmela l’ha segnata per moltissimi anni: ha combattuto però la depressione con la scrittura, che l’accompagna tutt’oggi e grazie alla quale ha vinto diversi concorsi di letteratura in vari Paesi.
Quest’anno Carmela e Vincenzo hanno festeggiato 62 anni di matrimonio insieme ai loro sei figli.
La storia di Carmela rappresenta una faccia della medaglia ma non tutti i matrimoni per procura ebbero il lieto fine: nel libro di Susi Bella Wardrop sono raccolte le testimonianze di alcune avventure finite male, come  la storia di Silvana. 
Nata nel 1908 nella provincia di Catania, Silvana veniva da una famiglia molto povera e numerosa. Nel 1930 uno dei suoi fratelli che si trovava in North Queensland le parlò di un uomo di 35 anni, vedovo e con un figlio che voleva una nuova compagna. Silvana così accettò di sposarsi per procura e al suo arrivo in Australia scoprì che l’uomo non aveva un figlio, ma tre. 
Un altro esempio è quello di molti uomini che inviavano foto di quando erano giovani o addirittura fotografie di amici. All’arrivo delle spose, in molte vissero il trauma di trovarsi davanti una persona molto più anziana.
A causa di problematiche sorte con il passare del tempo, negli anni ‘60 la Chiesa cattolica volle scoraggiare le persone nel seguire questa strada e sembra infatti che l’ultimo matrimonio per procura sia stato registrato presso la chiesa di St Anthony di Hawthorn e celebrato in Italia nel 1976.
ROBERTA VITIELLO