ROMA - Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge e due disegni di legge per riformare le modalità di acquisizione della cittadinanza italiana tramite lo ius sanguinis, ovvero il “diritto di sangue”, che consente di ottenere la cittadinanza se si è discendenti di un cittadino italiano.
La riforma mira a contrastare gli abusi che hanno permesso a persone con antenati molto lontani di acquisire la cittadinanza senza avere alcun legame effettivo con l’Italia, senza conoscere la lingua e spesso senza esserci mai state.
Fino a ora, era la legge del 1992 a regolare il meccanismo, stabilendo che una persona è automaticamente italiana se almeno uno dei genitori lo è. Si riconosceva la cittadinanza a chi poteva provare di avere un antenato italiano al momento della proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861.
Prima dell’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, la cittadinanza si trasmetteva solo per via paterna, mentre dopo quella data anche le donne acquisirono gli stessi diritti degli uomini, e lo ius sanguinis iniziò a valere anche per i figli di italiane sposate con stranieri. Diverse sentenze, nel corso degli anni, hanno confermato che anche ai discendenti di donne italiane nate prima del 1948 andasse riconosciuto il diritto alla cittadinanza.
Negli ultimi anni, grazie alla legge del 1992, l’Italia ha visto un forte incremento delle cittadinanze concesse, in particolare tra i discendenti di italiani emigrati in Argentina e Brasile tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo scorso. Attualmente, ci sono oltre 60.000 pratiche pendenti nei tribunali italiani, che si aggiungono alle pratiche amministrative avviate nei consolati-
Il decreto-legge approvato dal Cdm prevede invece che la cittadinanza per ricostruzione venga concessa automaticamente solo per due generazioni, limitandola quindi a chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia, ai discendenti nati in territorio italiano o con un genitori che possa provare almeno due anni di residenza continuativa nel Paese. A tutte queste persone la cittadinanza sarà riconosciuta alla nascita.
In ogni caso, chi ha già presentato domanda prima del 27 marzo avrà comunque diritto alla cittadinanza secondo le modalità fino a oggi vigenti.
Più avanti il governo è intenzionato a introdurre modifiche più significative con un vero e proprio disegno di legge, come l’obbligo per i cittadini italiani di “esercitare i diritti e i doveri”, ovvero rinnovare il passaporto, votare o aggiornare lo stato civile almeno una volta ogni 25 anni.
I nati all’estero dovranno registrare il loro atto di nascita prima dei 25 anni, per non perdere il diritto alla cittadinanza, e i coniugi di cittadini italiani dovranno risiedere in Italia per ottenere la cittadinanza.
Verrà fornito anche un chiarimento sulla trasmissione della cittadinanza tramite la madre, estendendo questo diritto a tutte le persone nate dopo il 1° gennaio 1927, e quindi minorenni il giorno dell’entrata in vigore della Costituzione, visto che all’epoca la maggiore età veniva raggiunta a 21 anni.
Questo consentirà a molte persone di presentare la domanda direttamente ai Comuni o Consolati senza dover ricorrere ai tribunali come succedeva fino ad ora.
Infine, un secondo disegno di legge prevederà la creazione di un ufficio centralizzato ad hoc per la gestione delle pratiche di cittadinanza, al posto dei consolati, per rendere il processo più rapido e trasparente.
Ci sarà anche l’introduzione di una tassa di 700 euro per la richiesta di cittadinanza, pensata per coprire i costi amministrativi dei Comuni e cercare di fermare le pratiche abusive gestite da agenzie straniere.