ROMA – È stata un’udienza storica, quella del 24 giugno 2025 alla Corte Costituzionale italiana. Una delle più significative degli ultimi decenni in materia di cittadinanza.  

Per la prima volta, è stato messo in discussione il principio che ha regolato l’attribuzione della cittadinanza italiana sin dal XIX secolo: lo ius sanguinis, ovvero la trasmissione della cittadinanza per discendenza, senza limiti generazionali. 

Presente in aula, l’avvocata italoargentina Katherine Muñz Tufro, esperta in diritto costituzionale e fondatrice dello studio legale Raddo, ha seguito con attenzione il dibattito e, a distanza di pochi giorni, offre un’analisi lucida e articolata del nodo giuridico e politico emerso durante l’udienza. 

Al centro dell’udienza c’è l’articolo 1 della legge 91/1992, ancora vigente nella parte discussa: “È cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini italiani”.  

Una formulazione apparentemente semplice, che ha però permesso a milioni di discendenti di italiani emigrati di vedersi riconoscere la cittadinanza senza dover dimostrare né residenza, né conoscenza della lingua, né alcun legame con il territorio italiano. Bastano i documenti genealogici. 

La Corte è stata chiamata a valutare se questo sistema – basato esclusivamente sul vincolo di sangue e privo di limiti generazionali – sia ancora compatibile con i principi costituzionali.  

I giudici remittenti hanno evidenziato possibili contrasti con la sovranità popolare (art. 1), l’uguaglianza e la ragionevolezza (art. 3), la rappresentanza politica (art. 48, 56 e 57) e gli obblighi internazionali (art. 117).  

La questione posta è se una cittadinanza ereditaria illimitata sia ancora giustificabile o se si configuri invece come un’anomalia giuridica rispetto ad altri percorsi molto più restrittivi, come quello della naturalizzazione per gli stranieri residenti in Italia. 

Tuttavia, secondo Muñz Tufro, è fondamentale distinguere tra un giudizio di opportunità politica e un giudizio di legittimità costituzionale.  

Il solo fatto che oggi si desideri modificare il modello di cittadinanza – come già avvenuto con la recente Legge 74/2025, che introduce limiti generazionali e richiede un “vincolo effettivo” – non implica che il modello precedente fosse incostituzionale. “Il compito della Corte – sottolinea – non è sostituirsi al legislatore, ma valutare se il legislatore del 1992 abbia violato la Costituzione. E, a mio avviso, non lo ha fatto. La norma vigente fino ad oggi è coerente con la tradizione giuridica italiana e con il principio di continuità storica dell’ordinamento”. 

Durante l’udienza è emersa con forza la questione del cosiddetto “vincolo effettivo”, un concetto non definito dalla legge, ma spesso evocato per sostenere la necessità di un legame culturale o territoriale con l’Italia.  

Secondo l’avvocata, però, “la cittadinanza italiana non è mai stata fondata su un’appartenenza culturale. È sempre stata giuridica, genealogica. Lo dimostra anche la riforma costituzionale del 2001, che ha esteso la rappresentanza parlamentare agli italiani residenti all’estero”. In questo senso, il popolo italiano non è definito dalla prossimità geografica, ma da un vincolo giuridico riconosciuto e consolidato. 

Una delle preoccupazioni principali riguarda gli effetti retroattivi di un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità: cosa ne sarebbe delle migliaia di cittadini che hanno ottenuto il riconoscimento attraverso questo sistema?  

La Costituzione è chiara: l’articolo 22 vieta di privare qualcuno della cittadinanza per motivi politici o arbitrari. “Non si può cancellare a posteriori un diritto acquisito sotto un regime legittimo. Farlo sarebbe lesivo del principio di legalità e di sicurezza giuridica. Non si può riscrivere la storia dei diritti in base a nuove sensibilità politiche”, afferma con decisione Muñoz Tufro. 

In un passaggio chiave, l’avvocata ribadisce un principio fondamentale: “La cittadinanza non è una concessione. È uno status giuridico con radici normative, che non può dissolversi per un cambio di prospettiva legislativa né per pressioni politiche. Quello che è in gioco non è solo un’interpretazione, ma il rispetto per la continuità dell’ordinamento e per la sicurezza giuridica di migliaia di cittadini italiani nati fuori dal territorio, ma non fuori dalla storia”. 

La Corte si pronuncerà nei prossimi mesi. La sua decisione sarà cruciale non solo per il futuro del diritto di cittadinanza, ma per il rapporto tra l’Italia e le sue comunità nel mondo.