Le Olimpiadi di Melbourne del 1956, le prime a svolgersi nell’emisfero meridionale, furono anche le prime a essere trasmesse in televisione. In molti ricorderanno di essersi ritrovati nelle case di chi possedeva i primi apparecchi, e altri ancora potranno dire di aver assistito ai Giochi di persona, nel villaggio olimpico che fu appositamente costruito a Heidelberg. Tra loro vi erano i tanti immigrati che proprio in quegli anni cominciavano a cambiare il tessuto della società australiana, e che nell’arrivo trionfale di campioni sportivi dalla propria patria provavano magari un senso di riscatto dalla quotidiana condizione di emarginazione.
Uno di loro era Gualberto Gennai, presidente per 16 anni dell’Associazione Elbani nel Mondo, giunto a Melbourne nel ’49 dalla sua natìa Capoliveri, che con un nutrito gruppo di amici si era precipitato a fare il tifo per la squadra italiana di ciclismo. A capitanarla c’era il “Treno di Forlì”, soprannome del romagnolo Ercole Baldini, che solo alcuni mesi prima aveva battuto il record dell’ora assoluto. “Eravamo un centinaio di italiani in tutto, tra cui una dozzina di elbani. Quando sentimmo l’annuncio dagli altoparlanti che in testa c’era Baldini cominciammo a fremere per l’emozione, per poi esultare tutti assieme nel momento della vittoria”. Nessuno si sarebbe aspettato che l’ondata di clamore collettivo si sarebbe sgonfiata anzitempo in un attimo infinito di imbarazzante silenzio. Quando i primi tre classificati salirono sul podio, aspettarono invano l’attacco dell’inno nazionale italiano, che l’organizzazione olimpica australiana non aveva preparato. Con prontezza di spirito intervenne Gualberto, che si trovava a due metri dal podio. “Non c’erano gli spalti – spiega il 94enne elbano -. La pista era a Broadmeadows, che allora era in aperta campagna. Quando vidi che stavano scendendo dal podio istintivamente mi misi a cantare Fratelli d’Italia a squarciagola e subito Baldini tornò sui suoi passi per cantare l’inno nazionale insieme a tutti noi. Fu un momento di commozione ed esultanza incredibile”.
La storia dell’inno cantanto “a cappella” dagli spettatori italiani fece il giro della stampa australiana e italiana e restò per sempre nel cuore del campione Baldini, che in occasione del suo ritorno in Australia per le Olimpiadi di Sydney volle conoscere il suo amico elbano di persona. “Fui invitato a Sydney a incontrare e abbracciare Baldini, e il commissario del Comitato olimpico australiano volle che tutti e due cantassimo ancora una volta l’inno nazionale”, racconta Gualberto, la cui amicizia con il ciclista romagnolo è ancora viva.
Los Angeles, 1984. Luca Scribani Rossi, l’attuale presidente della Camera di Commercio di Melbourne e direttore di Beretta Australia, è alla prima delle sue tre Olimpiadi da campione di tiro a volo, nella specialità skeet. Tornerà a casa con una medaglia di bronzo. “Arrivai a Los Angeles nell’incoscienza dei miei 23 anni. Il nostro è uno sport in cui conta molto la tecnica e l’esperienza. Alle Olimpiadi attuali un mio ex avversario del Kuwait ha vinto la medaglia di bronzo a 57 anni. Devo dire che fu una sensazione incredibile quando alla cerimonia di apertura al villaggio olimpico mi trovai gomito a gomito con campioni dell’epoca come Pietro Mennea, Daniele Massaro e Daniele Masala. Mi ricordo anche che a me sembrava un dovere ritornare con una medaglia, perché non volevo che tutto il lavoro fatto in preparazione dei Giochi andasse in fumo”. La preparazione di Scribani Rossi comincia a 11 anni, seguendo il padre, appassionato di caccia. “Si cimentava nel tiro a volo quando la stagione della caccia era chiusa e io mi allenavo con lui durante le sue pause pranzo. Venne a mancare quando io avevo solo 16 anni, e fu da quel momento in poi che cominciai a vincere le prime gare”.
La disciplina sportiva del tiro a volo richiede nervi salvi e sangue freddo. Alla prontezza di riflessi da condensare nella manciata di secondi che trascorrono da quando si chiama il piattello al momento in cui si preme il grilletto, occorre aggiungere la pazienza per i lunghi e snervanti intervalli nel corso di una giornata, tra una serie di tiri e un’altra. “Il grosso elemento del nostro sport è l’attesa. È il contrario dei 100 metri dove tu corri per 10 secondi e se sei stato il più veloce vinci. Da noi è anche una gara di endurance. Bisogna mantenere concentrazione e forma fisica per tutta la giornata”.
A Los Angeles Scribani Rossi era arrivato alla terza e ultima giornata di gare con una medaglia sicura tra secondo e terzo posto, da disputare allo spareggio. “C’era molto vento e mi ricordo come fosse adesso quando chiamai il piattello. Sulla prima pedana il piattello ti esce da dietro la testa, e io sentii lo sgancio della macchina. Imbracciai il fucile e quando andai a premere sul grilletto il piattello prese una folata di vento e si tolse dalla traiettoria. Mi sparì sotto le canne”.