PALERMO - Diciannove appartenenti ai clan che negli anni Ottanta furono sconfitti dai corleonesi di Totò Riina, sono stati condannati in abbreviato nel capoluogo regionale siciliano dal Gup Elisabetta Stampacchia. I cosiddetti “scappati”, chiamati così perché dovettero fuggire da Palermo nel corso della guerra di mafia con i “corleonesi” e cercare protezione negli Stati Uniti, appartengono alle famiglie Inzerillo, Spatola, Buscemi. Il Gup ha accolto le tesi dell’aggiunto Salvatore De Luca, che ha rappresentato l’accusa insieme ai pm Pierangelo Padova, Dario Scaletta, Giovanni Antoci e Amelia Luise, quest’ultima è da poco alla Procura europea. 

La pena più alta, 16 anni, è stata inflitta a Tommaso Inzerillo; 11 anni e quattro mesi al cugino Francesco. Il nipote del boss Salvatore Inzerillo, Alessandro Mannino, è stato condannato a 12 anni e quattro mesi; 12 anni al genero di Tommaso Inzerillo, Giuseppe Spatola. E ancora: 14 anni a Giovanni Buscemi; 11 anni e otto mesi a Giuseppe Sansone; 11 anni e sei mesi a Benedetto Gabriele Militello; 11 anni e quattro mesi ad Antonino Fanara; 10 anni e otto mesi ciascuno a Santo Cipriano, Antonio Di Maggio e Giuseppe Lo Cascio.

Infine, Paolina Argano (un anno e sei mesi); Alfredo Bonanno (due anni e quattro mesi); Veronica Cascavilla (due anni e quattro mesi); Salvatore Lapi (due anni e due mesi); Tommaso La Rosa (tre anni); Alessandra Mannino (due anni e due mesi; Rosalia Purpura (due anni e due mesi). L’assoluzione è stata decisa per tre imputati di reati minori: Maurizio Ferdico, Antonino Intravaia e Fabio Orlando. 
Intanto, si è concluso con quattro condanne e un’assoluzione col rito abbreviato davanti al giudice monocratico del Tribunale di Ragusa, il processo a carico del boss Venerando Lauretta, Riccardo Lauretta, Francesca Luana Campailla, Alessandro Bellante che rispondevano di diffamazione aggravata nei confronti del giornalista Paolo Borrometi e Ivan Lo Monaco, che rispondeva anche di minaccia grave e continuata attraverso social network nei confronti di Borrometi. 

Le frasi oggetto del processo sono state scritte sotto gli articoli pubblicati dal giornalista che avevano come titolo “Vittoria, il giallo box 65 col socio occulto, Venerando Lauretta. Fuori i mafiosi dal mercato” e “Comiso, arrestato Mario Campailla U Checcu. Per la Dna è il capomafia della Stidda”. 

Per Bellante e Lauretta, il giudice ha emesso la condanna con il pagamento di una multa di 800 euro ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali. Lauretta e Campailla invece sono stati condannati con il pagamento di una multa di 900 euro ciascuno oltre alle spese processuali. Tutti e quattro dovranno pagare un risarcimento da 1000 euro ciascuno a Borrometi a decorrere dal passato in giudicato della sentenza.