ROMA - Una brutta storia arriva dalla Capitale, dove un medico psichiatra della “Roma bene” ha indotto una sua paziente a pratiche scabrose e ha ripetutamente abusato di lei. È così che la Procura romana ha condannato con rito abbreviato Stefano Maria Cogliati Dezza, 71 anni, a quattro anni e sei mesi di reclusione con l’accusa di violenza sessuale per aver approfittato del suo ruolo e aver creato un “legame di dipendenza e soggezione” con la paziente.
La ricostruzione dei fatti condotta dal gup Valeria Tommassini ha riconosciuto all’imputato anche le aggravanti per l’uso di strumenti di offesa alla vittima, 25enne. Inizialmente il pm Alessia Natale aveva chiesto una condanna a sei anni e sei mesi calmierata dal rito abbreviato.
La sentenza di primo grado prevede per l’imputato anche una provvisionale di 40.000 euro e “l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, la sospensione dell’esercizio della professione medica, nonché dai pubblici uffici per cinque anni”.
La vicenda risale al dicembre del 2019, periodo in cui la paziente, affetta da un disturbo bipolare di personalità, si è rivolta allo psichiatra per problemi nel perdere peso. A nulla erano serviti i tentativi di rivolgersi a un nutrizionista e per questo la giovane si è rivolta allo specialista.
Secondo l’accusa lo psichiatra avrebbe prescritto alla donna dei farmaci per favorire il dimagrimento, che avrebbero contribuito a creare un legame di soggezione tra lei e il suo medico. A questo punto, secondo i giudici, Cogliati Dezza persuade la ragazza ad avere rapporti intimi estremi. La relazione malsana dura un anno e l’elenco degli strumenti non concede equivoci: nel “trattamento” vengono utilizzati fruste, candele, pinze e bastoni, strumenti degni di un film dal finale tragico.
“Lui la lega al letto, la benda, la frusta, le cola sulla schiena la cera calda”, riporta la stampa. “Pratiche che le provocano sofferenza fisica” e che il medico lenisce con apposite iniezioni per abbassare la soglia del dolore, ma “solo negli intervalli di tempo in cui il medico la stupra”.
Il “legame” va avanti fino all’ottobre del 2020, quando la vittima ritrovando un briciolo di forza, si confida con i genitori e denuncia quel medico che aveva disatteso il patto d’Ippocrate.