ROMA - “I fatti di interesse processuale si sono svolti in presenza di condizioni non più presenti né ripetibili”. Lo scrivono i giudici della prima sezione penale della Cassazione nelle motivazioni con cui, lo scorso 25 febbraio, hanno confermato gli arresti domiciliari per Chiara Petrolini, la giovane ventunenne accusata di aver ucciso e occultato i cadaveri dei figli appena partoriti. 

Con quella decisione, la Suprema Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame, che in accoglimento dell’appello della Procura aveva disposto la custodia cautelare in carcere. La misura resta dunque sospesa, in attesa di un nuovo giudizio. 

Pur riconoscendo a Petrolini “un’elevata capacità mistificatoria” e una “non comune determinazione criminale”, i giudici spiegano che la scelta di confermare i domiciliari si fonda sul fatto che i gravi reati contestati furono resi possibili dal mantenimento di una fitta e articolata rete di relazioni affettive, che la detenzione domiciliare renderebbe di fatto impraticabile. 

Secondo la Corte, la possibilità che l’indagata possa riprodurre condizioni simili a quelle che, nel passato, le permisero di agire — come la relazione con Samuel Granelli, padre dei due bambini morti — deve essere valutata alla luce delle restrizioni imposte dai domiciliari.  

Tali limiti, scrivono i giudici, escludono “la facoltà di allontanamento, anche temporaneo, dall’abitazione”, riducendo così in maniera significativa i margini per reiterare condotte simili. 

Nel frattempo, i genitori della ragazza erano stati stralciati dall’indagine su richiesta della Procura, e il Gip ha recentemente disposto l’archiviazione nei loro confronti, riconoscendo come essi fossero “effettivamente non a conoscenza dei fatti”.  

Le indagini dei carabinieri hanno infatti confermato che la ventunenne agì da sola, premeditando l’uccisione di entrambi i neonati: il primo partorito il 7 agosto 2024 e trovato due giorni dopo, e il secondo, nato il 12 maggio 2023, i cui resti sono stati riesumati lo scorso settembre.  

In particolare, per il neonato più giovane la Cassazione del Gip ha ritenuto provata la premeditazione attraverso “una serie di azioni durante la gravidanza”, segno di una consapevole volontà di causarne la morte.