BUENOS AIRES – L’attesissimo dibattito pre-elettorale, in attesa del voto di domenica 19 novembre, si è concluso con la vittoria, riconosciuta all’unanimità, del candidato di Unión por la Patria Sergio Massa sul rivale dell’ultradestra Javier Milei (La Libertad Avanza).
Vittoria mediatica che non necessariamente diventerà anche vittoria elettorale, per la quale tutto sembra ancora aperto.
Le difficoltà di Milei erano tutto sommato prevedibili e legate al format del confronto. Niente appunti, continuo botta e risposta.
Il candidato ha dato più volte dimostrazione di avere problemi a gestire la pressione e del fatto che entra immediatamente in difficoltà quando, in un contraddittorio, è obbligato a cambiare progetto rispetto a ciò che aveva in mente di dire.
Tutti si aspettavano un gioco a dimostrare che “l’altro è peggio”, mentre Milei non ha saputo approfittare dell’enorme vantaggio offerto dal fallimento economico dell’attuale governo, dove Massa è ministro dell’Economia (sebbene entrato in corso d’opera, chiamato a gestire una situazione difficilmente emendabile).
Il dibattito si è diviso in 6 blocchi, ognuno dei quali dedicato a un tema diverso del programma elettorale.
Ogni candidato aveva a disposizione sei minuti complessivi per esporre il programma e rispondere al rivale, ma non poteva parlare per più di due minuti di seguito.
L’economia, con cui si è aperto il confronto, era il tema più atteso. Milei, il primo a iniziare secondo il sorteggio, ha esordito con le esternazioni di sempre. Un attacco alla casta, l’assicurazione che il libero mercato assicurerebbe all’Argentina la prosperità. E lo slogan preferito: “lo Stato è il problema e non la soluzione”.
Ha accusato l’attuale governo di avere finanziato il deficit fiscale prima con debito pubblico che pagheranno le generazioni future, poi con la stampa di moneta che ha pportato l’inflazione oltre il 100 per cento, infine con una manovra basata sull’aumento delle imposte anziché sul taglio alla spesa.
La strategia di Massa è stata chiedergli conto delle sue affermazioni più estremiste e bizzarre: l’eliminazione dei sussidi al trasporto pubblico, dollarizzazione dell’economia, eliminazione della banca centrale, privatizzazione di fiumi e mari.
Milei glissa, accusa di estrapolare frasi senza contesto, dichiara che i sussidi non saranno toccati, che basterà aspettare la ripresa economica e allora non saranno più necessari. Affermazione che, da ultraliberista, lo trasforma immediatamente in un keynesiano. Proprio come quelli della casta che proclama che vorrebbe distruggere.
A forza di precisazioni, utilizza tutto il tempo a sua disposizione è finito, mentre a Massa restano ancora vari minuti per spiegare il suo programma che punta all’aumento delle esportazioni, alla semplificazione triburaria e a un raggiungere un avanzo fiscale e commerciale, assicurandosi le necessarie riserve per pagare al Fmi i debiti contratti durante la presidenza Macri.
È tuttavia in tema di politica estera che Milei dimostra maggiormente la sua debolezza, ossia l’assenza di conoscenza su come funziona uno Stato e dell’esistenza di leggi e trattati internazionali che regolano e vincolano anche i privati cittadini.
Inoltre afferma la propria ammirazione per Margaret Thatcher, una gaffe non fa poco, dal momento che la questione delle isole Malvinas è un nervo ancora scoperto e irrisolto della politica internazionale del Paese.
In tema di educazione e salute, Massa annuncia la creazione di più nidi e scuole d’infanzia e un investimento dell’8 per cento dei Pil nella scuola e accusa il rivale di voler privatizzare l’università, attualmente gratuita. E ricorda come questo elemento sia un fattore di mobilità sociale.
A questo proposito menziona le proprie origini italiane, anzi siciliane. Il suo essere figlio di un immigrato a cui l'Argentina ha dato l'opportunità di diventare presidente.
Milei assicura che le università continueranno a essere pubbliche e lancia un’idea che definisce “rivoluzionaria”: la creazione di un ministero del Capitale Umano con 4 segreterie: infanzia e famiglia, salute, educazione, inserimento lavorativo.
In realtà di rivoluzionario c’è ben poco, dal momento che le teorie sul capitale umano sono state elaborate negli anni ’60 e ’70 dagli economisti Gary Becker e Theodore Schulz (entrambi premi Nobel) e sono il corollario educativo dei principi neoliberisti della Scuola di Chicago.
In tema di politiche sul lavoro, Massa annuncia semplificazione tributaria, sgravi sul costo del lavoro per le nuove imprese che si installano in provincie povere come Catamarca, Chaco e Corrientes.
Promette la trasformazione dei piani sociali (ossia i trasferimenti dello Stato alle famiglie più povere) in salari: non serviranno più a pagare le persone “per non lavorare”, ma a incentivare le imprese ad assumere, dal momento che l’ammontare del piano sociale diventerà parte della paga del lavoratore, alleggerendo gli oneri per l’impresa.
Annuncia anche una lotta alla disparità di genere negli stipendi ma perde l’occasione per ricordare gli atteggiamenti maschilisti che hanno spesso caratterizzato Milei.
Per quanto riguarda la sicurezza, non c’è – almeno a parole – molta differenza tra i candidati. Entrambi annunciano tolleranza zero, ma Massa può vantare i risultati della sua gestione negli anni in cui è stato intendente (sindaco) di Tigre (dal 2007 e il 2013). E annuncia di volerne fare un modello da estendere a tutte le città con oltre 150mila abitanti.
Il dibattito si è concluso con messaggi rassicuranti da parte di entrambi. Massa dichiara di voler far finire la polarizzazione della politica argentina a favore di un’unità nazionale e di politiche di Stato stabili e a lungo termine, che sopravvivano ai cambi di governo.
Milei invita a votare per lui senza paura, “perché la paura paralizza e impedisce di cambiare”.
Domenica sapremo chi ha saputo convincere gli argentini. Anche solo di essere "il meno peggio".