TEL AVIV – Karina Ariev, Daniella Gilboa, Naama Levy e Liri Albag sono tornate nel loro Paese dopo 477 giorni di prigionia a Gaza. Le quattro hanno riabbracciato i propri genitori nella base militare di Reem e la Croce Rossa ha informato che le loro condizioni di salute sono buone. Prima, però, sono arrivate a Gaza City dove, circondate da miliziani armati, sono salite su un palcoscenico allestito in piazza Saraya, tenendo in mano la busta regalo consegnata come souvenir da Hamas. Rapite in pigiama, oggi indossano uniformi militari.
“Israele sta aspettando da Hamas la lista con i nomi degli altri 26 ostaggi che devono essere rilasciati. C’è grande preoccupazione per i due bambini Kfir e Ariel, di due e cinque anni, e per la madre Shiri”, ha dichiarato il portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), Daniel Hagari.
Intanto, a Ramallah, in Cisgiordania, sono stati accolti 130 detenuti palestinesi, di cui 121 ergastolani rimessi in libertà mentre altri 70, i più pericolosi perché condannati per gli omicidi di israeliani, sono stati trasferiti in Egitto e da lì verranno esiliati non solo al Cairo, ma anche in Algeria, in Turchia e in alcune destinazioni del Golfo.
Dopo drammatiche ore di riflessione, Benjamin Netanyahu e l’establishment della sicurezza israeliano avevano accettato la lista dei quattro ostaggi da liberare, senza mandare a monte l’intero piano, nonostante le accuse ad Hamas di aver violato l’accordo siglato a Doha. A uscire da Gaza sono state infatti le quattro soldatesse ventenni, coloro che lanciarono inascoltate l’allarme sui movimenti di Hamas prima del 7 ottobre. Mentre restano escluse da questo secondo gruppo della prima fase, le uniche due donne civili: Arbel Yehud e Shiri Bibas (madre dei due bambini Kfir e Ariel). Il piano che l’organizzazione terroristica si era impegnata a rispettare prevedeva invece l’obbligo di liberare prima tutte le donne ancora in vita e non militari.
Netanyahu ha inoltre dichiarato che Israele non completerà il suo ritiro dal settore est del Libano meridionale entro la scadenza di 60 giorni stabilita dall’accordo di cessate il fuoco con Hezbollah. L’esercito libanese “non ha ancora pienamente applicato” i suoi obblighi, cioè non si è dispiegato completamente nella zona orientale, ma solo in quella occidentale.
Detenuti palestinesi rilasciati da Israele
E nel mentre Hezbollah non si è spostato del tutto a nord del fiume Litani, a 30 chilometri dal confine con Israele, come è scritto nell’impegno della tregua: “Il processo di ritiro graduale continuerà, in pieno coordinamento con gli Stati Uniti”, ha fatto sapere l’ufficio di Netanyahu.
E mentre la Casa Bianca ha ordinato al Pentagono di revocare il blocco imposto dall’amministrazione Biden sulla fornitura di bombe da duemila libbre a Israele, l’Unrwa – l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistere i rifugiati palestinesi – “deve cessare le sue operazioni a Gerusalemme ed evacuare tutti i locali in cui opera nella città” entro il prossimo 30 gennaio, come indicato in una lettera dall’ambasciatore israeliano al Palazzo di vetro al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.