Nel panorama contemporaneo, i social network hanno assunto un ruolo sempre più centrale e influente, in ogni settore e in molti aspetti. La relazione tra politica, società e piattaforme digitali è diventata un aspetto cruciale del nostro tempo, influenzando opinioni, elezioni e persino, si veda alcuni casi come quello del Movimento 5 stelle in Italia, la nascita delle formazioni politiche stesse. 

Tuttavia, questa relazione è caratterizzata da una complessità che va oltre il semplice utilizzo delle piattaforme per la propaganda politica e ha ovvie connotazioni sociali e altrettanto ovvie ramificazioni di carattere economico.

Nati con obiettivi di mero intrattenimento o aggregativi, i social network, con la contemporanea diffusione degli smartphone, hanno, in breve tempo, avuto una diffusione talmente capillare raggiungendo una platea globale di miliardi di utenti. Inevitabile, quindi, l’impatto su società e politica, andando a rivoluzionare, nei fatti, la stessa comunicazione politica. Ogni politico, in tutto il mondo, ha il proprio profilo su tutte le piattaforme, qualcuno si è anche spinto su quelle più utilizzate dagli adolescenti creando effetti non certamente positivi per la propria immagine, ma insomma tutti interagiscono con i loro elettori e affidano ai social la veicolazione di messaggi politici e propagandistici. 

Piattaforme come Facebook, X (già noto come Twitter), Instagram e YouTube permettono infatti di raggiungere un vasto pubblico in tempo reale, mettendo da parte i tradizionali canali di comunicazione. Ma se questo ha reso la comunicazione politica apparentemente più accessibile e immediata, consentendo di trasmettere direttamente le proprie idee e opinioni senza filtri intermedi, non possiamo certo dire che questo sia necessariamente un vantaggio, in un’ottica più ampia.

In linea teorica, infatti, sui social network tutti abbiamo una ‘voce’, tutti siamo liberi di partecipare al dibattito, esprimiamo opinioni e abbiamo la percezione di potere interagire direttamente con personalità politiche un tempo magari meno accessibili se non attraverso i luoghi di aggregazione politica consueti.

Tutto bello, in teoria, e tutto, sempre in teoria, che ci consegna una idea, apparente, di maggiore partecipazione civica e una forma di democrazia più inclusiva.
Ma se questa è la teoria e questa, forse, l’ambizione di qualcuno più un buona fede, la realtà dei fatti, purtroppo, è ben altra. La disintermediazione del messaggio politico non è infatti necessariamente un bene, poiché viene meno il filtro critico del professionista dell’informazione che, almeno secondo deontologia, dovrebbe non prestarsi a una mera dinamica comunicativa del messaggio politico ma fare domande e approfondire per garantire al cittadino una visione oggettiva e imparziale degli eventi politici, delle dinamiche legislative e istituzionali, basata su fonti verificabili, per una comprensione finale che non sia influenzata da opinioni o agende personali e politiche.

Aggiungiamo poi l’effetto dirompente, di cui tutti siamo testimoni in questi ultimi anni, della diffusione della disinformazione e della possibile manipolazione dell’opinione pubblica. Facile, con algoritmi e con la scientifica gestione dei dati, sfruttare le piattaforme per diffondere notizie false, teorie cospirative e propaganda politica, influenzando così l’opinione dei cittadini-elettori e distorcendo così il processo democratico.

Non è una novità, anche se questo ha a che fare con un percepito un po’ meno immediato, che la fruizione di informazione e comunicazione attraverso queste piattaforme crei dinamiche dove si viene esposti principalmente a contenuti che confermano le nostre convinzioni preesistenti, creando così non certo spazi di approfondimento e analisi ma preoccupanti forme di convinzioni partigiane all’interno della nostra società, in questi luoghi virtuali dove si dibatte su ogni singolo aspetto dello scibile umano, che si sia competenti o meno, poco conta. “Uno vale uno”, diceva qualcuno e si è visto che fine hanno fatto. Tra l’altro con il rischio, purtroppo, anche dell’emergere di posizioni sempre più estremiste, proprio perché continuamente polarizzate.

Il dibattito è aperto in queste ore nella politica australiana che, dopo i tragici fatti di Sydney e puntando i riflettori sul ruolo dei social network in particolare rispetto a quanto accaduto dopo l’accoltellamento del vescovo di lunedi scorso, chiede, in maniera bipartisan, sanzioni più severe che costringano le potenti multinazionali proprietarie di questi strumenti a rimuovere contenuti potenzialmente forieri di pericolosa disinformazione. 
Il leader dell’opposizione Peter Dutton ha ribadito la necessità di intervenire, anche con interventi più decisi per combattere la disinformazione online e ha confermato di essere pronti a lavorare insieme con il governo perché questo accada.
Il contesto giuridico su cui intervenire è certamente complesso, le società proprietarie dei sociali network non sono infatti considerate formalmente editori che controllano attivamente i contenuti pubblicati con tutto ciò che ne consegue quando si tratta di assunzione di responsabilità.

“Abbiamo bisogno di trovare il giusto equilibrio, in modo da non interferire con la capacità di esprimere un’opinione in un contesto democratico”, ha sottolineato Dutton, toccando il punto di un altro diritto giustamente consolidato nelle democrazie occidentali, quello della libertà di parola. Si evidenzia, insomma, una sfida importante, verso una maggiore regolamentazione e una concreta responsabilizzazione con interventi legislativi che dovrebbero combattere la diffusione di disinformazione, ma anche proteggere la privacy degli utenti, la libertà di parola e garantire una concorrenza leale nel mercato digitale.

Non possiamo, tuttavia, non registrare alcune contraddizioni in termini, soprattutto quando vediamo la stessa classe politica che si indigna, spendere proprio nei social network la maggior parte del budget dedicato alla pubblicità politica, istituzionale o personale, e affidare la propria comunicazione politica a quelle stesse multinazionali private che vogliono, adesso, sanzionare.

La relazione tra politica e social network è destinata a rimanere al centro del dibattito pubblico in questi anni. Mentre le piattaforme digitali continuano a evolversi e ad influenzare il modo in cui la politica è condotta e percepita, sarà essenziale trovare un equilibrio tra la libertà di espressione, la sicurezza democratica e il rispetto dei diritti degli utenti.

E, detto questo, una provocazione: sarebbe interessante vedere qualche politico chiudere il proprio profilo su queste piattaforme e magari, perché no, cercare di riavvicinarsi a dinamiche di informazione e comunicazione molto più tradizionali, per dare un segnale a tutti, cittadini in primis.