Con più di 70 apparizioni tra cinema e televisione e 37 anni di carriera, Steve Bastoni è quasi un’enciclopedia vivente di tutto ciò che l’Australia ha prodotto per il grande e piccolo schermo negli ultimi quattro decenni. Il suo sguardo disincantato ha intersecato quello di malavitosi in Underbelly e Blue Murder, le note serie tv degli anni Novanta e Duemila che hanno contribuito ad alimentare quella fascinazione per la criminalità organizzata che passa per il culto del galeotto Chopper Read e trova il suo mito fondante in Ned Kelly e la sua banda di outcasts. Negli anni 2000 non si è fatto mancare un paio di stagioni nella soap opera nazional-popolare Neighbours. “Avevo appena messo su famiglia – si giustifica ridendo –. Ho fatto due anni: una condanna breve!”

Ha recitato con alcuni dei più talentuosi attori australiani agli albori delle loro carriere, tra i quali Cate Blanchett, Russell Crowe, Greta Scacchi e Miranda Otto, ma anche con il ‘nostro’ Franco Nero, e negli Stati Uniti con Robert Redford e Keanu Reeves. I suoi esordi, come spesso accade, sono circoscritti all’ambiente scolastico-familiare, ma in questo caso toccano da vicino la storia del nostro giornale, perché fu in una produzione teatrale intitolata Il minestrone, del nostro compianto ex direttore Nino Randazzo, che Steve Bastoni mosse i primi passi da attore, quando era ancora bambino.

“I miei genitori erano entrambi appassionati di teatro e letteratura. Mia madre era insegnante di lettere e faceva parte della compagnia teatrale italiana della Melbourne University. Ha recitato in tantissime pièce teatrali di Randazzo: Il tumulto dei Ciompi, Le fiamme di Kalgoorlie e molte altre”.

Poco più che ventenne la madre di Steve Bastoni decise di intraprendere un viaggio da sola in Europa a bordo di una Lambretta. Per caso conobbe la famiglia Agnelli e per un periodo si occupò della loro scuderia di cavalli. Poi a Roma incontrò l’affascinante Raffaele Bastoni, cinque volte campione italiano di canoa e rappresentante nazionale alle Olimpiadi di Helsinki del 1952. Sei mesi prima che venisse a mancare, nel primi anni Novanta, Raffaele Bastoni aveva corso una maratona.

Il padre Raffaele Bastoni è stato cinque volte campione italiano di canoa e rappresentante nazionale alle Olimpiadi di Helsinki del 1952

I due si sposarono e vissero in Italia per quindici anni, fino al momento del divorzio. “Fu una separazione amichevole – racconta Steve –. Mio padre veniva a trovarci a Melbourne ogni anno durante le vacanze di Natale e restava anche un paio di mesi. Oppure andavamo noi a Roma ogni due anni. Parlavamo anche spessissimo al telefono”.

Steve aveva otto anni quando si trasferì con la madre e le sorelle a Melbourne. “Abbiamo quasi sempre vissuto in quartieri fortemente italiani come Brunswick e Carlton e la maggior parte dei miei amici erano di origine italiana, ma non mi sono mai identificato del tutto con la loro esperienza migratoria. Mia madre era sostanzialmente una figlia dei fiori e mio padre viaggiava moltissimo e parlava sette lingue. A Roma frequentavo la scuola americana. Non ebbi alcuna difficoltà ad abituarmi allo stile di vita australiano.”

Ironia della sorte, il suo primo ruolo davanti a una cinepresa arrivò grazie al film educativo Skipping Class, del 1983, che affrontava i problemi dell’assimilazione analizzando il triangolo insegnante-studente-genitore e la ‘doppia identità’ che i ragazzi figli di immigrati tendevano ad assumere tra casa e scuola. “Io però recitavo la parte di un ragazzo macedone. Ho sempre interpretato più ruoli da greco o macedone che da italiano. Per il film The Water Diviner di Russell Crowe ho dovuto imparare il turco: è stata una delle sfide più toste di tutta la mia carriera”.

Da ragazzo con il padre a Melbourne

Steve aveva 16 anni durante le riprese di Skipping Class e l’anno dopo si trovò catapultato in un importante film a puntate per la televisione con Jack Thompson e Greta Scacchi. Waterfront seguiva le vicende di un professore socialista italiano che si trasferisce in Australia per sfuggire al fascismo e resta coinvolto, come molti altri immigrati italiani, nelle dispute tra sindacati e lavoratori portuali. Un terzo del film era parlato in italiano e sottotitolato in inglese. 

“Erano anni in cui in Australia si investivano tantissimi soldi nelle miniserie. Avevo appena 17 anni e mi ritrovai in una scena di ballo con Greta Scacchi!”, commenta Steve, lo sguardo perso per un attimo tra i ricordi e quasi incredulo, anche dopo tutti questi anni. 

È dello stesso anno, il 1984, la sua apparizione in Melvin: Son of Alvin, un film probabilmente sconosciuto ai più e di cui Steve racconta solo perché sollecitato a rivangare l’esperienza più imbarazzante della sua carriera. 

Ma l’aneddoto è interessante perché anche in questo caso getta luce su un tassello importante della storia cinematografica australiana, quello della cosiddetta “Ozploitation” degli anni ’70, quando un certo allentamento della censura (che aveva fino ad allora messo al bando film quali La dolce vita di Fellini e L’Amore di Roberto Rossellini) portò alla proliferazione di film a basso costo, per lo più, a base di sesso e violenza.

Benché snobbati dai critici, alcuni di questi b-movies sbancarono il botteghino, come il film Alvin Purple del 1973, che dipinge in stile commedia sexy all’italiana le avventure di un uomo normalissimo a cui nessuna donna sa resistere.  Il sequel Melvin: Son of Alvin, in cui il protagonista ha ereditato le stesse doti del padre, non resse al confronto; o forse i tempi erano cambiati. “Uno dei peggiori film che siano mai stati prodotti - ride Steve – però i film di Alvin avevano un certo colore, qualcosa che oggigiorno manca del tutto nel cinema australiano”.

È di qualche anno più tardi l’incontro con Franco Nero sul set della miniserie per la televisione The Magistrate. “Ho imparato tantissimo da lui. Aveva una presenza e una tecnica incredibili. Io interpretavo suo figlio e avevo alcune scene emotivamente impegnative. Me ne ricordo una in particolare in cui dovevo piangere, seduto accanto a lui sul letto, e lui mi disse: ‘Piano, piano. Non bruciarla.’ Fu molto garbato”.

Anche il film 15 Amore, del 1998, per cui Steve Bastoni fu nominato per un AACTA Award (Australian Academy Cinema Television Arts), narra una fetta di storia italo-australiana. Il regista Maurice Murphy attinse ai propri ricordi di bambino durante la Seconda guerra mondiale, quando il padre andò in guerra e la madre ricevette dal governo due lavoratori italiani prigionieri di guerra. “Non è mai chiaro nel film se tra uno di loro e la madre fosse nata una relazione amorosa. Per me non c’erano dubbi!”, ironizza Steve. “D’altronde la storia è raccontata attraverso gli occhi di un bambino, che avrà visto solo ciò che voleva vedere”.

Recentemente l’attore è tornato a calcare il palcoscenico e l’anno scorso ha convinto pubblico e critica con la sua interpretazione di Eddie Carbone, il migrante italiano abbrutito dal lavoro di scaricatore portuale e tormentato dalla gelosia morbosa verso la nipote, nell’opera di Arthur Miller, A View from the Bridge. “È stato un vero e proprio massacro emotivo. Il personaggio di Eddie attraversa una crisi brutale. È stato come vivere il trauma di un incidente automobilistico ma ripetuto ogni singola sera. Mi sono dovuto allontanare per un periodo dalla mia famiglia”. 

Come si fa, chiediamo all’attore, a immedesimarsi in questa personalità così vicino alla follia? “Tutti possiamo relazionarci in qualche modo a un’esperienza anche lontanamente simile. Poi ci si affida a quello che Stanislavski chiamava ‘the magic if’.  Devi ritrovare quello stato emotivo e moltiplicarlo per dieci. E poi, si salvi chi può!”.