Vincenzo Pirrotta è una vecchia conoscenza di Buenos Aires. Nato a Palermo nel 1971, attore, regista, drammaturgo, erede della tradizione siciliana dei “cuntisti” (teatranti che raccontano gesta epico-cavalleresche), è noto al pubblico porteño. Che lo ha apprezzato nel 2019, in “Kaos Pirandello”, un progetto drammaturgico con cui ha voluto reinterpretare l’opera del grande scrittore suo conterraneo, facendo uscire gli attori dal palcoscenico e disseminandoli per tutto lo spazio del teatro.
A Buenos Aires è tornato pochi giorni fa, in occasione della Settimana del cinema italiano, a presentare il suo primo film, dove interpreta il ruolo del protagonista, ma firma anche la regia e la sceneggiatura.
“Ho amato subito questa città, la prima volta che ci sono stato – rivela con il tono affabile e l’aria leggermente timida che caratterizza nella vita di ogni giorno certi “cattivi” del cinema –. Ma questa è stata una riscoperta. L’ho ritrovata piena di vita, con tanto teatro, tanta voglia di riappropriarsi degli spazi urbani, delle strade, dei luoghi di cultura”.
Il film presentato al festival, “Spaccaossa” (uscito in Italia nel 2022), è un pugno nello stomaco coerente con il suo titolo. Ambientato a Palermo, presenta una Sicilia lontana da tutti gli stereotipi: quelli del turismo, ma anche quelli di una certa mafia cinematografica, romanticizzata sia dalla parte del male che dalla parte del bene.
“La storia che ho voluto raccontare – dice – nasce da un fatto di cronaca di qualche anno fa”. Un gruppo di criminali convincevano persone in gravi difficoltà a farsi mutilare e rompere braccia e gambe, per simulare incidenti automobilistici e riscuotere i soldi dell’assicurazione dei quali, ovviamente, a quei disperati arrivavano solo pochi spiccioli. Una storia agghiacciante che tuttavia non aveva nulla a che vedere con la mafia, ma con la delinquenza comune (eh, già, in Sicilia non tutta la criminalità è legata a Cosa Nostra).
“Ho sentito la necessità di scrivere un’opera ispirata a questa vicenda – racconta –. Inizialmente ho pensato a un testo per il teatro, ma più procedevo più mi accorgevo che il materiale era più adatto a un film. Soprattutto c’era una domanda che andava molto oltre il fatto di cronaca: di che cosa ognuno di noi è disposto a mutilarsi per ottenere ciò che vuole?”. Un film che obbliga lo spettatore a chiedersi la stessa cosa.
“È una storia di miseria vestita di disperazione e di cinismo – commenta Pirrotta –. Nessuno riesce a salvare la propria umanità. Luisa, interpretata da Selene Caramazza, vende il suo corpo in un tentativo estremo di autodeterminazione. Vicenzo, il mio personaggio, potrebbe trasformarsi in un eroe, ma non lo fa e resta succube della madre e dell’organizzazione criminale. L’unica a compiere un gesto rivoluzionario è Maria, la moglie dello spacciatore, ma con quello stesso gesto, senza saperlo, apre la strada alla tragedia finale”.
C’è tanto di Pier Paolo Pasolini in questo lavoro: lo stesso regista dichiara di essere stato fortemente influenzato da “Accattone”. Ma anche l’amato Pirandello non è certo passato senza lasciare impronte, soprattutto in quell’inettitudine che caratterizza tutti i personaggi, nelle loro scelte paradossali, che sembrano assurde e sono invece il risultato di una razionalità portata al parossismo.
Da segnalare un quasi irriconoscibile Luigi Lo Cascio, famoso per la sua interpretazione in “La meglio gioventù” e “I 100 passi”, qui nel ruolo di Macchinetta, un uomo che soffre di dipendenza da videopoker. La grande sorpresa del film, però, è costituita dall’apporto di Salvo Ficarra e Valentino Picone, noti al pubblico televisivo come duo comico, che qui firmano la sceneggiatura, con lo stesso Pirrotta e Ignazio Rosato. “Sono due cari amici con molta esperienza nel linguaggio audiovisivo e grandi conoscitori di Palermo – spiega il regista –. Al momento di trasformare l’idea in un film, ho sentito il bisogno di chiedere la loro collaborazione”. Gentile, corretto, persino umile. Come se, all’orrore che sceglie di mettere in scena senza sconti, opponesse la necessità di uno sguardo pietoso sulle ferite e le contraddizioni che ci portiamo dentro.