GAZA - Israele fermi “immediatamente” l’operazione a Rafah, nell’estremo sud di Gaza, tenga aperto il valico al confine con l’Egitto per fare entrare aiuti nella Striscia, e permetta l’ingresso degli investigatori nell’enclave palestinese. È l’ordine emesso dalla Corte internazionale di giustizia (Icj) nei confronti dello Stato ebraico, nuovamente accusato dal Sudafrica. Per i giudici del tribunale dell’Onu all’Aia, la situazione umanitaria nella Striscia si è aggravata e a Rafah è ormai diventata “disastrosa”. Le misure messe in atto da Israele in questi mesi “non affrontano pienamente le conseguenze della mutata situazione”, ha affermato il capo della corte Nawaf Salam, che ha chiesto allo Stato ebraico di fornire un rapporto sulle nuove misure entro un mese. 

Il 26 gennaio il tribunale aveva ordinato a Israele di fare tutto il possibile per prevenire atti di genocidio durante l’operazione militare a Gaza, e a marzo aveva intimato di garantire la “fornitura senza ostacoli su vasta scala” di aiuti umanitari. L’Icj ha anche chiesto la “liberazione immediata e incondizionata” degli ostaggi israeliani tenuti a Gaza da Hamas. Proprio la mancata correlazione da parte della corte tra questa richiesta ad Hamas e l’ordine a Israele di fermare l’invasione di Rafah è stata stigmatizzata dal leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid che ha parlato di “disastro morale” dei giudici. 

Il Sudafrica ha accolto con favore la decisione dell’Icj nei confronti di Israele: “Credo che sia molto più forte, in termini di formulazione, come misure provvisorie, un appello molto chiaro alla cessazione” delle operazioni, ha detto il ministro degli Esteri Naledi Pandor. Esulta anche Hamas convinto però allo stesso tempo che “non è sufficiente” ma serve uno stop dell’offensiva israeliana su tutta Gaza. Una richiesta ribadita anche dall’Autorità nazionale palestinese (Anp): per il portavoce presidenziale Nabil Abu Rudeina, l’ordine dell’Icj “dimostra un consenso internazionale sulla fine della guerra nella Striscia di Gaza”. Durissima la reazione di Israele, a cominciare dal ministro delle Finanze, il leader di estrema destra Bezalel Smotrich, secondo il quale chiedere allo Stato ebraico di fermare la guerra contro Hamas equivale a chiedergli di cessare di esistere.  

Il premier Benjamin Netanyahu ha convocato una riunione telefonica con una serie di funzionari e ministri, dal fidato Ron Dermer, alla guida del dicastero degli Affari strategici e membro osservatore del gabinetto di guerra, al ‘falco’ della Giustizia Yariv Levin, dal ministro della Difesa Yoav Gallant al procuratore generale Gali Baharav-Miara, dal capo della diplomazia Israel Katz fino al consigliere per la Sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi. Nella lista non compaiono né Benny Gantz né Gadi Eisenkot, entrambi del partito Blu e Bianco una volta all’opposizione, entrati nel gabinetto di guerra dopo lo scoppio della guerra a Gaza. Proprio l’ex capo di Stato maggiore ha parlato con il segretario di Stato americano Usa, Antony Blinken, dopo l’annuncio dell’Icj, e ha ribadito che Israele deve “continuare a combattere” la sua “giusta e necessaria” guerra. Si tratta di un obbligo “per riavere i suoi ostaggi e garantire la sicurezza dei suoi cittadini, in qualsiasi momento e luogo, anche a Rafah”, ha sottolineato Gantz. 

La guerra a Gaza, finora, avrebbe causato la morte di oltre 1.170 persone, per lo più civili, secondo un conteggio fatto dall’agenzia AFP, basato su dati ufficiali israeliani. La rappresaglia israeliana avrebbe ucciso almeno 35.800 persone a Gaza, soprattutto donne e bambini, secondo il ministero della Sanità del territorio gestito da Hamas. All’inizio di maggio Israele ha lanciato un assalto a Rafah, l’ultima città a Gaza in cui, in ordine di tempo, sono entrate le truppe di terra, sfidando l’opposizione globale e mettendo in fuga più di 800.000 persone. I soldati hanno preso il controllo del lato palestinese del valico di frontiera di Rafah con l’Egitto, rallentando ulteriormente l’arrivo già sporadico di camion che trasportavano gli aiuti umanitari per i civili”.