“Interventi chirurgici limitati, cure per patologie croniche procrastinate, continuiamo con distanziamento e mascherine, ma andiamo avanti senza mai abbassare la guardia”.

Antonio Di Ieva, neurochirurgo presso il Macquarie University Hospital di Sydney spiega: “Per un chirurgo le mani sono tutto. Una semplice stretta di mano, è qualcosa più di un gesto superficiale, è un’antica usanza di scambio di fiducia ed infusione di sicurezza. Pratica impossibile da effettuare attualmente, prova di come il fattore umano sia profondamente cambiato ai tempi del Covid”.

In una fugace pausa tra un intervento e l’altro il dottore originario di Caserta ricorda il periodo del lockdown “in alcuni casi non era neanche possibile visitare pazienti, e spesso alcune consulenze sono avvenute via teleconferenza. Con tutti i limiti del caso, ovviamente”. Cambiamenti bruschi e decisi soprattutto per la sanità “molti ospedali hanno dovuto limitare gli interventi elettivi e le visite ambulatoriali. Nonostante ciò, il sistema ha funzionato abbastanza bene in Australia, con ospedali privati, come quello dove lavoro, che hanno dato piena disponibilità ad operare o accettare in reparto anche casi pubblici, per ridurre il carico sulla sanità statale e consentirgli di gestire i contagi Covid-19 nel miglior modo.

Ma le difficoltà non sono mancate: “sicuramente la gestione delle risorse ha creato problematiche. Allocare posti in terapia intensiva negli ospedali pubblici per essere preparati ad eventuali ondate di contagi, limitare gli approcci chirurgici elettivi, dando priorità solo a quelli urgenti o a quelli non rinviabili. Ma, purtroppo, molti pazienti non considerati casi urgenti hanno comunque problematiche serie, ad esempio dolore cronico non risolvibile con il solo utilizzo dei farmaci, ma nonostante ciò il loro trattamento, perlomeno quello chirurgico, è stato ritardato”.

Per il medico la preoccupazione maggior è stata e resta “il rischio del contagio. Infettare più persone nello stesso reparto sarebbe un disastro”. All’unità di neurochirurgia del Macquarie University Hospital, dove opera Di Leva, per ovviare a questo problema da mesi si è adottato un sistema diverso di lavoro: “abbiamo creato due sub-gruppi, così, in caso di contagio di qualche elemento dell’equipe, l’altra non dovrebbe essere contagiata, consentendo all’ospedale di continuare l’attività. Ad oggi non è mai successo nulla fino, ma approcci preventivi sono sempre meglio di quelli reattivi. Inoltre, tutte le riunioni scientifiche, logistiche, i nostri incontri multi-disciplinari per migliorare il decision-making di casi difficili, sono stati spostati sulle piattaforme online utilizzando le teleconferenze”. 

Nonostante il periodo critico il chirurgo si dice “ottimista, perlomeno per quanto riguarda l’Australia, ma non bisogna abbassare la guardia, soprattutto ora che l’economia sta chiaramente soffrendo i risultati della pandemia, e la gente è tentata a sottovalutare l’entità del problema. I rischi di nuove ondate e di problematiche più serie correlate alla pandemia sono sempre in agguato. Ciò è dimostrato dalla situazione non proprio rosea in altri paesi, come Italia ed USA, per esempio”.

A propositivo delle strategie contenitive adottate dal New South Wales “si sono rilevate adeguate. Distanziamento sociale, mascherina, potenziamento dei presidi igienici, e quant’altro, hanno rallentato l’avanzata del virus. In attesa del vaccino o di un trattamento che allevi gli effetti del virus”. 

A proposito di vaccino...  “Ci sono moltissime ricerche e sperimentazioni cliniche in giro per il mondo, che stanno procedendo a tempi record. C’è da tenere presente, però, che un virus a RNA, come quello del Coronavirus, ha altissima probabilità di mutare e di essere poco responsivo ad un singolo vaccino, ma ci sono anche altri approcci terapeutici in sperimentazione, e sono più che ottimista che presto la malattia sarà solo un brutto ricordo, come tante altre infezioni con cui l’umanità ha avuto a che fare. Prima o poi questa pandemia finirà nei libri di storia, come la peste, l’influenza spagnola e tante altre”.

Il medico però lancia un monito “non è il periodo storico giusto per lanciarsi come opinionisti. La scienza si basa sul metodo sperimentale, ovvero: si ha una teoria, si fa del tutto per confutarla, se non si riesce, la teoria è valida. Questo è l’approccio giusto. Su questa pandemia la scienza ha molti dubbi ancora, ma su continui esperimenti (ed errori) di oggi, si costruisce il progresso del domani. Il parere qualunquista di mettere o no le mascherine, di evitare o no il distanziamento sociale, ecc., sono atteggiamenti anarchici assolutamente controproducenti e pericolosi in questa fase storica. Seguire le raccomandazioni degli enti scientifici e governativi è l’unica raccomandazione che mi sento di dare al momento”. 

Da medico, neuro scienziato e professore universitario di neurochirurgia - conclude - non mi sento in grado di dare opinioni con problematiche che esulano dal mio campo di interesse ed esperienza. Ritengo imbarazzante quindi questo atteggiamento che continuo a vedere, soprattutto sui social media o in alcune patetiche manifestazioni sociali, di sentirsi in grado di dare giudizi su problematiche così serie e complesse. Non c’è nessuna dittatura sanitaria o cospirazione mondiale in atto, il buon senso dei cittadini aiuterà i ricercatori ed i governi a terminare questa pandemia”.