Quando si dice che il COVID-19 ha cambiato il nostro mondo non si esagera “perché il futuro che ci aspetta non è come lo avevamo immaginato fino a febbraio scorso”.
Antonio Pozzi è un architetto specializzato in design urbano, è associato di uno dei più importanti studi di architettura di Sydney che si occupa di vari progetti di sviluppo cittadino per conto del governo del New South Wales, fra cui quelli della “Aerotropolis”, la città che sorgerà attorno al nuovo aeroporto Western Sydney e che “sarà la città del futuro”. E il futuro Antonio, non solo lo immagina, ma lo disegna e lo organizza all’interno dei “luoghi in cui viviamo oggi e che dovranno essere rimodellati perché il Coronavirus ci ha dimostrato che siamo vulnerabili e non possiamo farci trovare impreparati da un’eventuale, possibile nuova pandemia. Questo significa ripensare gli spazi che ci circondano partendo dall’assunto che tutto quello che abbiamo fatto fino ad oggi, in termini di organizzazione delle città, è sbagliato”.
Ed è sbagliato, secondo l’architetto Pozzi, non perché non sia stato fatto bene, ma “perché non risponde più alle esigenze correnti. Se prima si disegnava una piazza perché questa potesse contenere un gran numero di persone tutte insieme, ora la si pensa in modo che sia naturalmente portata a dividere la folla”. E cosa più importante “prima disegnavamo le città basandoci sulle auto e il loro utilizzo. Oggi le disegniamo basandoci sui pedoni”.
Cosa cambia questo approccio nella progettazione del nuovo mondo non è secondario e per capirlo “vorrei fare un esempio pratico, anzi due. Prima - spiega Pozzi - arrivavamo al semaforo e per attraversare la strada a piedi schiacciavamo il pulsante di richiesta. Oggi non ce n’è più bisogno perché il segnale dell’omino verde è divenuto prioritario, quindi durerà di più e sarà più frequente. Toccherà alle auto attendere in fila, non più i pedoni. Il secondo esempio, invece, riguarda i disegni della città che fino a febbraio si facevano pensando che su una strada larga 20 metri, 14 fossero riservati alle auto e 4 ai pedoni e biciclette. Ora le proporzioni stanno cambiando: le auto hanno spazi ristretti, i marciapiedi e le piste ciclabili, invece, sono pensate più larghe e confortevoli”.
Questo aspetto è legato anche all’insicurezza che oggi genera l’utilizzo del trasporto pubblico visto come possibile fonte di contagio. “È vero, ma non si darà corsia preferenziale alle auto. Anzi, si cercherà di spingere la gente a camminare o a utilizzare la bici. Per questo motivo maggiore importanza nello sviluppo urbano sarà data ai quartieri. Le zone residenziali - continua Pozzi -saranno dotate di tutti i servizi necessari, incluso negozi e più o meno grandi centri commerciali, per evitare che ci si sposti sempre da una parte all’altra della città e in modo che, in caso di nuove pandemie, si possano chiudere rapidamente le zone a comparti”.
Ovviamente nuove soluzioni portano anche nuovi problemi che sono connessi “agli spazi aperti. Se spingiamo la gente a restare nelle proprie zone di residenza, allora dobbiamo anche garantire la presenza di spazi all’aperto che oggi mancano anche dove non sembra. Facciamo l’esempio di Bondi e Coogee. Quando hanno chiuso le spiagge non si è capito più nulla. Perché? La risposta sta nel fatto che gli spazi aperti in queste due aree sono rappresentati quasi esclusivamente dalle spiagge. Non va bene. A Bogotà, durante la crisi, hanno chiuso le strade alle auto trasformandole in zone pedonali, in modo da consegnare ai cittadini ampi spazi di passeggio. Ad Auckland, 130 km di strada sono stati convertiti in pista ciclabile. Ecco, così sarà il futuro prossimo: spazi ampi all’aperto che si possono utilizzare sempre e altri predisposti per far fronte a un’emergenza pandemia. La prossima volta – conclude l’architetto Pozzi - saremo pronti a creare percorsi pedonali obbligatori, evitando confusione o assembramenti e riducendo al minimo i pericoli di contagio e lockdown generale”.
Il futuro delle nostre città, insomma, si avvicina sempre di più al loro passato.