CANBERRA - Il ministro dell’Industria Tim Ayres starebbe valutando l’uso di fondi pubblici e prestiti a lungo termine per sovvenzionare le fonderie in difficoltà, come Tomago, il più grande produttore di alluminio del Paese, che richiede miliardi in aiuti da Canberra e dal governo del NSW.
Anche le fonderie della Nyrstar e gli impianti della Glencore sarebbero a rischio, minacciando i piani del governo per il “Future Made in Australia”.
Zoe Hilton, analista del Centre for Independent Studies, ha affermato che l’approccio attuale danneggia l’industria locale: “I prestiti e i contributi pubblici sono soluzioni temporanee che costeranno due volte ai contribuenti”.
Il governo punta a raggiungere l’82% di energia rinnovabile entro il 2030, ma la mancanza di fonti affidabili e a basso costo, come le centrali elettriche alimentate a carbone in via di eliminazione, sta penalizzando il settore metallurgico.
Il capo dell’AI Group, Innes Willox, ha avvertito che “i salvataggi non possono diventare la normalità” e ha sollecitato un approccio strutturale su energia, competenze e innovazione.
Nel frattempo, aziende come Nyrstar denunciano il dumping commerciale della Cina, che sovvenziona l’acquisto di materie prime australiane e impone controlli all’export.
Tomago, che fa uso del 10% dell’energia del NSW e produce il 37% dell’alluminio nazionale, è ritenuto un impianto siderurgico strategico, che va mantenuto operativo ad ogni costo. Il premier del New South Wales, Chris Minns, ha confermato colloqui in corso con Rio Tinto per trovare una soluzione sostenibile.
La crisi energetica rappresenta un banco di prova sempre più impegnativo per la politica industriale australiana e per l’intera visione economica del secondo mandato di Albanese.