GINEVRA - La decisione dell’Unione Europea di Radiodiffusione (Ebu) di mantenere Israele in gara all’Eurovision Song Contest 2026 sta avendo immediate e pesanti ripercussioni in termini di audience e finanza.
La defezione e la mancata trasmissione del concorso da parte di quattro Paesi chiave – Spagna, Paesi Bassi, Slovenia e Irlanda – si traduce, numeri alla mano, in una perdita immediata di quasi dieci milioni di spettatori rispetto alla finale 2025. L’edizione 2025 era stata seguita complessivamente da 166 milioni di persone nel mondo; l’assenza di questi quattro mercati rappresenta una perdita di circa il 6% del pubblico potenziale.
Il colpo più duro per l’Ebu arriva da Madrid: la Radiotelevision Española (Rtve), uno dei mercati televisivi più grandi d’Europa, ha annunciato non solo il ritiro dalla gara ma anche che non trasmetterà né le semifinali né la finale del prossimo maggio a Vienna.
La Rtve ha espresso “seri dubbi sulla partecipazione dell’emittente israeliana Kan”, sottolineando che “la situazione a Gaza, nonostante il cessate il fuoco, e l’uso del concorso da parte di Israele per scopi politici, rendono sempre più difficile mantenere l’Eurovision come evento culturale neutrale”. Solo la finale 2025 aveva raccolto in Spagna 5,88 milioni di spettatori, la terza audience più grande d’Europa.
Alla defezione spagnola si sommano i numeri degli altri Paesi che hanno annunciato il boicottaggio per ragioni politiche. Nei Paesi Bassi (3,5 milioni di spettatori persi) l’emittente Avrotros ha affermato che la partecipazione “non può essere conciliata con i valori pubblici che sono fondamentali per la nostra organizzazione”.
In Irlanda (268 mila spettatori persi) l’emittente Rte ha ritenuto la partecipazione “inaccettabile, data la spaventosa perdita di vite umane a Gaza e la crisi umanitaria”. Decisione condivisa anche dalla Slovenia (150 mila spettatori persi).
Ma la frattura rischia di allargarsi poichè anche Islanda e Belgio prenderanno una decisione sulla loro partecipazione nei prossimi giorni.
Il problema per l’Ebu non è solo politico ed economico, ma la stessa architettura del format: la Spagna, infatti, è uno dei famosi “Big 5” (insieme a Francia, Germania, Italia e Regno Unito), il gruppo di Paesi che contribuisce maggiormente al bilancio dell’Ebu e che gode di accesso diretto alla finale. Se la frattura dovesse contagiare altri grandi mercati, il modello attuale del festival, costosissimo nella produzione, potrebbe ritrovarsi sotto seria pressione finanziaria.
Dall’altro lato, il presidente israeliano Isaac Herzog ha accolto la conferma della partecipazione con grande soddisfazione: “Sono felice che Israele partecipi di nuovo all’Eurovision e spero che la competizione continui a celebrare la cultura, il canto, l’amicizia tra le nazioni”. Herzog ha interpretato la decisione dell’Ebu come “un apprezzato gesto di solidarietà, fratellanza e cooperazione, che simboleggia la vittoria su coloro che cercano di mettere a tacere Israele e diffondere odio”.
Il festival del 2026 si configura come il primo vero banco di prova per l’Eurovision, che negli anni si è venduto come una festa pop “apolitica”, ma che oggi è costretto a misurare la sottile linea di confine tra intrattenimento e geopolitica.