MELBOURNE - Alle 7 e 10 di mattina un messaggio ci aveva fatto sapere che le lezioni, ritenute un assembramento ‘essenziale’, sarebbero continuate. Business as usual, insomma. Allora, mi sono infilata la camicia e sono andata in classe a incontrare i nuovi studenti. Abbiamo fatto lezione insieme, un po’ preoccupati ma tutto sommato di buon umore e ancora ignari di quello che stava per avvenire.

Il martedì siamo stati svegliati dalla prima di una lunga serie di email: settimana rimandata, lezioni cancellate, spostate online dalla settimana successiva. Sono seguiti quattro giorni di preparazione frenetica, di meeting su Zoom per imparare a usare Zoom, lanciando ‘poll’ di prova (i ‘poll’ sono una delle funzioni del programma) sulla tappezzeria floreale nella stanza della collega. Eh sì, perché lo stile ai tempi del coronavirus si misura in base allo sfondo che si ha dietro di sé durante una videochiamata. Incredibile quante cose si possano capire di una persona dalla stanza dietro di lei: quadri, foto, letti sfatti, familiari e animali domestici che fanno capolino. 

Alla fine, il lunedì arriva e ci connettiamo con un misto di ansia e trepidazione. Gli studenti arrivano e, cercando di trovare lati positivi in questa situazione, vedo che almeno questo semestre non farò figuracce con i nomi, dato che il nome di ognuno è lì in bella vista sullo schermo. La prima lezione fila liscia, dandoci un senso di falsa sicurezza. 

Alla seconda lezione mancano diverse persone all’appello ma decidiamo comunque di iniziare. Dopo un po’ arriva un messaggio: sette studenti sono nella Tana del Bianconiglio! Hanno cliccato sul link di Zoom per partecipare alla lezione ma sono finiti in una ‘stanza’ virtuale a parte, che è ora inaccessibile dall’esterno. Inizio a vedere gatti che si ripetono, glitch nel Matrix, e decido di chiamare l’assistenza tecnica. Le linee sono intasate - non c’è nemmeno la Primavera di Vivaldi -; mettono direttamente giù. Dopo dieci tentativi riesco a parlare con Sam di e-Solutions e nella sua voce sento la sua palpebra che trema in un tic nervoso. Zoom ha problemi a livello globale. Ok, almeno siamo tutti insieme in questo Titanic che affonda. Torno davanti al computer e, come il capitano della nave, aspetto che la stanza di Zoom si svuoti e che i miei studenti saltino sull’ultima scialuppa rimasta: Google Meet. 

La prima settimana è andata. Controllo le email: la rettrice ci invita a prendere un caffè con lei su Zoom, ma io al pensiero di un altro Zoom meeting ho già i nervi a fior di pelle e quindi ignoro bellamente e continuo a fissare il muro davanti a me sorseggiando la mia camomilla. Una studentessa che non ho più visto da quel primo giorno di lezione, che ormai sembra un secolo fa, mi scrive che non ha potuto partecipare ai tutorial online perché la sua connessione da casa le permette a malapena di entrare su Moodle. 

Devo ammetterlo: il mio primo pensiero quando non l’avevo più vista era stato ‘guarda questa, adesso che la frequenza non è più obbligatoria, non si fa più vedere’. Ma poi ho capito: dall’oggi al domani, ci hanno detto ‘lavorate da casa’, ‘studiate da casa’, dando per scontato che fosse possibile per tutti. Ma Internet non è democratico. C’è chi può pagarsi la connessione veloce e illimitata e chi no. Chi abita in un posto dove la connessione è buona e chi no. La crisi del Covid-19 sta alzando il velo su molte disparità sociali e su quali siano i beni e i servizi essenziali davvero bisognosi di investimenti. Ricordiamoci di ricordarcelo quando tutto questo sarà finito.