Come spesso amo fare attraverso questa mia rubrica, vorrei meglio sviscerare la psicologia che sottende questi nostri vissuti patriottici per meglio capire perché ci sentiamo e comportiamo così come facciamo.
Comincerei col dire che il patriottismo riflette un nostro innato impulso tribale che ci porta istintivamente a favorire la terra e la gente nella quale siamo cresciuti. Questo impulso tribale nasce dal nostro bisogno di sopravvivenza sia come individui che come specie.
Come in un albero di Natale, questo nostro bisogno di sopravvivenza si estende poi alle nazioni ed ancora alle regioni di appartenenza, poi alle città, ai paesi, alle contrade, e (se applicabile) alle tribù di appartenenza.
Generalmente parlando, il patriottismo si avverte soprattutto in quei momenti nei quali viene messa a repentaglio la nostra sopravvivenza da parte di un nemico esterno. Se vogliamo, possiamo considerarlo come una reazione genetica insita sia all’uomo che agli altri primati e si fonda principalmente su valori evoluzionistici che garantiscono la sopravvivenza della specie.
Mentre questo articolo va in stampa, si sta svolgendo un altro avvenimento che, in modo metaforico, risveglia il nostro senso patriottico: si starà giocando la finale calcistica della Europa League che vede la Roma giocare contro gli spagnoli del Siviglia; qualche giorno dopo, poi, l’Inter giocherà la finale della Champions League Cup contro il Manchester City, e poi la Fiorentina si giocherà la Conference League Cup contro gli inglesi del West Ham United.
In tutte queste gare molti italiani si identificheranno con la squadra che rappresenterà l’Italia (tranne in qualche caso di tifo esclusivo per la squadra del cuore).
Assisteremo, allora, a tutte quelle condotte tribali tipiche di due tribù che si affrontano per la propria sopravvivenza: le sciarpe, le bandiere, i cappelli ed altri ornamenti che indichino l’appartenenza ad un gruppo o all’altro, i canti tribali, e le espressioni aggressive fatte di epiteti negativi verso i nostri avversari e di scatenata euforia quando segniamo un gol. Il tutto come se fossimo in una guerra con posta in palio la nostra sopravvivenza. è proprio vero: il calcio è proprio una metafora della vita.
Vorrei adesso accennare a come il patriottismo può essere asservito ad uso strumentale per raggiungere scopi di guadagno personale. Tale guadagno può essere o economico o di potere, a seconda di chi ne vorrà beneficiare.Leggevo proprio in questi giorni come la Russia (con a capo Putin) stia introducendo una nuova materia sugli studi patriottici nelle scuole russe, a partire dalle elementari.
È chiaro che questo asservimento di una istruzione ad hoc pan-russa serva al governo russo per garantire il supporto popolare della guerra contro l’Ucraina (e chissà contro chi in seguito). È altresì chiaro che quanto verrà insegnato a scuola in chiave patriottica rifletterà le varie esigenze di chi promuoverà questo tipo di istruzione.
In questi casi di utilizzo strumentale del patriottismo non per garantire la sopravvivenza della specie ma per scopi di guadagno economico o di potere non rientra nell’accezione naturale del patriottismo genetico che ho menzionato prima in questo articolo.
Esso riflette, invece, un uso “costruito” o “manifatturato” nel quale altri impulsi umani negativi entrano in gioco, tipo l’aggressività e l’ingordigia umana.
In questi casi il patriottismo non è più mezzo di sopravvivenza ma diventa propaganda per soddisfare tali sordidi impulsi.
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