La storia di Renato Palermo, presidente dell’associazione Patronato INCA e del consiglio direttivo dell’Associazione Calabrese di Montevideo, è quella di una generazione di migranti italiani che hanno trovato in Uruguay e in Argentina una casa durante il secolo scorso. Nato nel 1952, Renato Palermo è originario di Sangineto, in provincia di Cosenza, un paesino che lascia a soli 7 anni per imbarcarsi con la madre, la nonna e il fratello che, come moltissime altre famiglie nei primi decenni del dopoguerra, decisero di cercare fortuna dall’altro lato dell’Oceano Atlantico.
In Uruguay, a Montevideo, Renato ha frequentato la scuola elementare e superiore, e vi rimane fino al 1973, quando il Paese entra in una fase di profonda crisi politica che culminerà con la ‘dittatura civico-militare’ che si impose dal 1976 al 1986. Temendo di potersi mettere in pericolo a causa del suo impegno in organizzazioni sociali, come molti altri uruguaiani decide di ‘cruzar el charco’, ossia attraversare il Rio de la Plata, e cercare maggior tranquillità in Argentina dove frequenta un corso professionale di giornalismo radiofonico e si avvicina al patronato INCA di Buenos Aires, e quindi alla comunità italiana della capitale.
Purtroppo, però, nel 1976 anche in Argentina vanno al potere i militari instaurando una dittatura ancora più sanguinosa di quella uruguaiana, che lascerà un saldo di decine di migliaia di vittime. In questo contesto il patronato INCA, racconta Palermo, “ha svolto un ruolo importantissimo, anche pratico. Filippo Di Benedetto e gli altri dirigenti dell’INCA di allora, collaborando con il consolato, hanno redatto un elenco di tutti gli italiani e discendenti di italiani che si trovavano nel paese e che potevano essere in pericolo, aiutandoli anche a ricevere passaporti e documenti necessari per poter emigrare”, spiega. “È in questo periodo che ho iniziato a collaborare attivamente con le organizzazioni italiane, tanto sindacali come istituzionali”.
Quando poi, nel 1985, ritorna la democrazia in Uruguay, Renato decide di tornare a Montevideo dove lavora nell’ambito del giornalismo radiofonico, ma senza mai interrompere la sua attività come volontario a favore della collettività italiana. Si lega soprattutto al Patronato INCA locale, costituito proprio nel 1985 a seguito di un accordo bilaterale tra i due Paesi, sancito anche dalla visita in Uruguay che l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini fece nel maggio di quell’anno.
“È grazie a quell’accordo, una convenzione bilaterale di sicurezza sociale, che i cittadini italiani e i discendenti hanno iniziato a ricevere le pensioni ed i sussidi che gli spettavano anche da fuori dell’Italia. Per questo in quel periodo i patronati erano essenziali per gestire la burocrazia corrispondente in modo efficiente, in alcuni periodi siamo arrivati a erogare 20, 25 mila pensioni. Bisogna considerare che in quel periodo tantissime persone avevano fatto il servizio militare o avevano partecipato alla Seconda guerra mondiale, e loro e i loro familiari avevano diritto a richiedere assistenza e pensioni”, sottolinea Palermo.
E non era solo una questione di formalità, queste pensioni erano spesso vitali. “In quel periodo, negli anni ‘80, la situazione economica in Italia era abbastanza buona mentre in Uruguay era estremamente complicata. Una pensione italiana ricevuta, qui, aiutava tutta una famiglia e di conseguenza tutta la comunità”, racconta.
Sul ruolo del patronato nel contesto attuale della collettività italiana che, per questioni anagrafiche, vede ridurre sempre di più quella generazione di immigrati italiani che percepisce pensioni e registra un numero decisamente più esiguo di nuovi arrivi dall’Italia, Renato Palermo ha una posizione molto chiara: “Ovviamente il patronato si deve riconvertire.”
Spiega infatti che “oggi, per esempio, alcuni patronati aiutano i loro assistiti anche nella gestione di pensioni locali, ma soprattutto con le pratiche di richiesta di cittadinanza e il rinnovo di alcuni documenti, tutto lavoro che stiamo assorbendo e che il consolato da solo non riuscirebbe a gestire. Sebbene di italiani nati in Italia saremo ormai 3 o 4000, ci sono 130, 140 mila cittadini registrati all’anagrafe - spiega - il problema è che tutte queste attività e queste prestazioni, tutto quello che non ha a che vedere con l’INPS diciamo, non ci viene riconosciuto ufficialmente dalle istituzioni e questo sta generando una serie di problemi logistici.”
Renato Palermo è oggi anche presidente del consiglio direttivo della Associazione Calabrese, di cui ha fatto parte fin da bambino. Quando ricorda quegli anni sorride e racconta: “Quando è stata fondata ‘la calabresa’ (1963, N.d.A.) io avevo 9 - 10 anni e, addirittura, ho partecipato alla prima attività in assoluto! Fin dal primo momento è stato un punto di riferimento per me e per gli altri ragazzini della collettività, amici con cui tra l’altro ancora oggi ci troviamo a mangiare un asado...”, spiega.
“Da quando sono tornato dall’Argentina ho fatto parte di vari consigli direttivi ma non ho mai voluto assumere la presidenza perché sentivo di non poterle dedicarle tutto il tempo necessario per una gestione dignitosa. Adesso sono in una situazione diversa, sono pensionato e quando mi hanno offerto la presidenza ho deciso di provare a fare qualcosa di utile”, racconta alludendo alla carica appena ricoperta.
Attualmente è anche membro eletto a rappresentanza dell’Uruguay presso il CGIE, il Consiglio Generale degli Italiani all'Estero, anche se ancora per poco, “solo finché i 20 membri proposti dalle associazioni saranno approvati dal Presidente del Consiglio”, spiega. Lo scopo principale del CGIE è sostanzialmente proporre leggi ed iniziative al Parlamento per aiutare al meglio le comunità di emigranti italiani nelle diverse parti del mondo, ma secondo quanto ci racconta Palermo ci sono alcuni problemi. “Personalmente sono stato nel CGIE per una quindicina d’anni, e in questo periodo non ho percepito una grande attenzione da parte della politica rispetto alle osservazioni e le proposte che vengono sollevate”, sostiene. “Quasi sempre si discute molto ma alla fine manca un appoggio reale da parte dei funzionari ministeriali e da parte della politica più in generale”, conclude Palermo.