Il calcio è magia, o quasi. Sicuramente è uno di quegli sport che conserva un alone di misticismo, scaramanzia ed eroismo contemporaneo, nonostante il mostruoso giro di soldi che ruota intorno al mondo del professionismo. Anche per questi motivi è lo sport più seguito a livello globale, con ben tre miliardi e mezzo di appassionati (numeri che poi diventano ancora più grandi quando si parla di una finale come quella del Mondiale di Qatar 2022, dove ben più di cinque miliardi di persone hanno visto l’Argentina di Messi battere la Francia di Mbappé). Ma, oltre alla ‘pulce’ argentina, che proprio in settimana ha portato la sua nazionale al trionfo in Coppa d’America, e oltre ai vari Ronaldo, Haaland, Bellingham, ma anche i Del Piero, Zidane, Maldini, Zanetti, Totti e Baggio, tutte le partite di tutte le categorie hanno bisogno di una figura irrinunciabile, ma che rimane spesso ai margini dei riflettori della fama: l’arbitro.
Ne abbiamo parlato nel segmento calcistico di Rete Italia, La testa nel pallone - puntata di ieri, ndr -, con un’eccellenza del settore, Eugenio Brazzale. Per chi non lo conoscesse, si tratta di una vera leggenda del calcio australiano, ma non solo: arbitro in pensione che ha calcato i maggiori campi di calcio australiani e internazionali e che ha fornito la sua esperienza e conoscenza arbitrale alla Federazione calcistica australiana, ancora oggi si offre come mentore per le nuove generazioni di arbitri e assistenti di gara, oltre alla costante partecipazione nella vita della comunità italiana di Melbourne, ad esempio come vicepresidente del Veneto Club, carica che ha mantenuto per dieci anni, fino ad inizio 2024. La famiglia infatti è tutta veneta: papà di Calvene e mamma di Lugo, entrambe in provincia di Vicenza. Però la sua carriera da direttore di gara inizia per via di un infortunio che, alla soglia dei vent’anni, lo porterà a smettere di giocare, per poi iniziare a dirigere le partite: “L’infortunio alla spalla non fermò la mia passione per il calcio”.
Un piacere ascoltare i suoi tanti aneddoti che raccontano della partita di serie minore regionale australiana dove “c’erano dieci persone, due auto e un cane a bordo di un campo in pessime condizioni”, fino ad arrivare alla Coppa del Mondo ’94, quella della sconfitta cocente dell’Italia ai rigori contro il Brasile, con un grandissimo Roberto Baggio che venne colpito dal destino beffardo sbagliando dal dischetto. E forse proprio l’incontro con il ‘divin codino’ è tra i ricordi più belli che Eugenio custodisce: “Al Mondiale del 1994 ho avuto la fortuna di essere uno dei guardalinee della partita dell’Italia contro il Messico - che finì in pareggio, 1 a 1, ndr -, in un caldissimo mezzogiorno a Washington. Attimi prima dell’ingresso in campo, Roberto Baggio si avvicinò per parlarmi, dicendomi di aver notato il mio cognome, proveniente dal vicentino, proprio come lui. Ma alla sua domanda sulle mie origini ho dovuto glissare con un ‘Scusa Roberto, adesso non si può parlare perché comincia la partita’”. Questo solo uno dei tanti incontri ravvicinati con gli idoli immortali del calcio, sempre però trattati con rispetto e immensa professionalità.
Bellissimo ricordo anche quello di Ferenc Puskás, altra leggenda del calcio mondiale e secondo miglior marcatore di tutti i tempi (Cristiano Ronaldo al primo posto), poi allenatore anche del South Melbourne, squadra che Eugenio ha arbitrato agli esordi: “Lo incontrai poi nuovamente a Chicago dove risiedevamo nello stesso hotel proprio durante i Mondiali del ‘94 durante una conferenza stampa per l’inserimento del suo nome nella Hall of Fame della Fifa e lui, che mi notò, fermò l’intera conferenza, passò attraverso i giornalisti per venirmi a salutare, ricordandosi di me e chiacchierammo delle nostre vite per circa 10 minuti. Veramente una persona superlativa”.
Spesso bersagliato dalle critiche, dagli insulti e dal fervore adrenalinico di 22 giocatori (più allenatori e panchine) in lotta per un pallone, l’arbitro ha la grande responsabilità di mantenere ‘la direzione’ della gara con calma, empatia e autorità, ma non è sempre facile mantenere un dialogo costruttivo con gli addetti ai lavori: “Durante le riunioni di inizio stagione dove gli arbitri offrono un momento di incontro con gli allenatori, noto che sono veramente in pochi a partecipare e quando lo fanno, non sempre sono presenti con atteggiamenti positivi”. Quasi un monito per i futuri allenatori di comunicare e collaborare di più con gli arbitri, anch’essi umani che possono sbagliare, dice Eugenio, ricordando l’episodio con José Mourinho, incontrato quando allenava il Manchester United durante una polemica negli spogliatoi degli arbitri allo stadio Old Trafford, calmatosi poi, proprio con Eugenio, parlando dell’Australia.
Sottolinea poi il duro lavoro e il tanto impegno dietro questa carriera: “Prendi ad esempio l’arbitro della recentissima finale dell’Europeo: un ragazzo francese di 35 anni. Ciò vuol dire che ha iniziato presto e che già a 25 anni, quando arbitrava la prima lega francese, aveva accumulato almeno 8 anni di esperienza. Insomma, proprio come un calciatore, l’arbitro deve scegliere questo percorso sin da giovane, magari a 16 anni, e macinare esperienza per arrivare a tali livelli”.
Eugenio Brazzale, grande direttore di gara, ma anche spettatore in prima persona, da una posizione privilegiata, di tantissimi talenti, e se gli si chiede chi gli sia rimasto impresso, lui è sicuro quando nomina l’ex capitano della nazionale australiana, un attaccante grintoso e potente, sicuramente iconico: “Mark Viduka”.
E un sogno: che il giovane figlio Matteo, anche lui arbitro, diventi bravo. Magari quanto il papà.