BUENOS AIRES – Saranno le radici italiane, saranno stati i racconti dei nonni, ma Yamila Rambaldi è sempre stata affascinata delle vecchie foto di “Buenos Aires com’era”.
Quando i quartieri avevano ognuno la propria marcata fisionomia, con uno stile architettonico, con negozi di prossimità dove si andava a fare la spesa, ci si conosceva per nome e ci si poteva fermare a chiacchierare, mentre il proprietario serviva il cliente successivo.
“Facevo parte di gruppi Facebook dedicati alle foto d’epoca – racconta –. Panetterie appartenenti alla stessa famiglia da tre generazioni, cinema di quartiere, palazzine liberty… Finché non mi sono resa conto che molti di questi edifici sono stati demoliti e altri corrono il rischio di fare la stessa fine”.
La ragione? Un settore immobiliario in forte espansione, molto aggressivo e speculativo, a caccia di terreni per costruire edifici di miniappartamenti con amenities, da affittare a stranieri a prezzi esorbitanti.
Una politica che droga il mercato immobiliare, rendendo l’affitto a prezzi normali un miraggio per i residenti, che estromette fasce deboli, come gli anziani, da interi quartieri gentrificati e dunque carissimi sotto ogni punto di vista, che distrugge il patrimonio storico e la fisionomia di una città.
Per questo Yamila ha creato la pagina Instagram Buenos Aires perdida, per denunciare abbattimenti di edifici storici e chiamare alla mobilitazione altri cittadini. È in contatto con gruppi e associazioni che lavorano nella stessa direzione, come Basta de demoler.
Durante la campagna elettorale per la carica di governatore della Città Autonoma di Buenos Aires, Jorge Macri aveva promesso un cambiamento rispetto alla politica urbanistica permissiva del suo predecessore. Ma di fatto ben poco è cambiato, se si è arrivati ad autorizzare persino la demolizione dell’edificio che fino al 1995 fu sede della storica Radio del Plata, la prima a trasmettere in FM in Argentina.
È così che Yamila, di professione traduttrice, si è trasformata in un’esperta di codici urbanistici e diritto amministrativo.
“In teoria se un edificio è anteriore al 1941, anno in cui si è realizzato il primo catasto della capitale, per demolirlo o modificarlo serve un’autorizzazione speciale – spiega Yamila –. Si convoca un organismo, il Consejo asesor de asuntos patrimoniales, che valuta caso per caso”.
Per autorizzare la demolizione, l’edificio non deve avere alcun valore architettonico o essere danneggiato in modo irreparabile. “A volte basta una crepa, magari prodotta dalla demolizione dell’edificio confinante – afferma Yamila –. E il permesso viene concesso”.

Palazzina nel quartiere Palermo presto demolita. (foto: F. Capelli)
Qualche passo avanti in questi anni è stato compiuto: la catalogazione di 4500 immobili considerati “di valore” e il blocco di alcune demolizioni mediante un recurso de amparo, istituto giuridico argentino corrispondente a grandi linee a un’ordinanza di un giudice. “Il tutto grazie all’impegno di ong come Basta demoler e altre” dice Rambaldi.
Nei giorni scorsi, un’altra piccola vittoria: la Giustizia ha ratificato un precedente provvedimento e obbligato il governo della città a completare la catalogazione degli immobili precedenti al 1941 e a metterli sotto tutela.
Attualmente esistono tre tipi di protezione su immobili antichi. “La più semplice e diffusa è la cautelare – spiega Yamila –. In pratica, c’è l’obbligo di non toccare la facciata, ma sopra poi si possono costruire 12 piani, come successo a un convento nel quartiere di Villa Devoto”. Il 95 per cento degli edifici protetti possono avvalersi solo della cautelare.
“Il secondo livello è la protezione strutturale, che obbliga a conservare anche gli spazi interni – continua l’attivista –. Infine l’integrale, riservata davvero a poche costruzioni, quasi tutti monumenti storici e sedi di istituzioni”.
Chi si oppone alla tutela del patrimonio, adduce spesso giustificazioni legate ai diritti individuali, come quello di vendere una casa di proprietà.
“Ma nessuno vuole toccare questo diritto – chiarisce Rambaldi –. Si tratta solo di vendere a qualche estimatore delle architetture originali”. Che non voglia buttare giù tutto per costruire 15 piani di miniappartamenti di 25 metri quadrati ciascuno, senza nemmeno gli armadi, perché destinati a turisti”.
Al tempo stesso, riconosce l’attivista, non si può fare carico al privato della manutenzione, spesso molto costosa, di palazzine liberty o case d’angolo coloniali.
“Circa 30 anni fa è stato creato un fondo di stimolo al recupero degli edifici catalogati come patrimonio architettonico – spiega Rambaldi –. Doveva essere alimentato dal 15 per cento delle imposte da oneri di edificazione”. Ovvero, le tasse pagate da chi costruisce nuovi immobili, in una sorta azione riparativa e compensatoria. “Peccato che manchino i decreti attuativi: attualmente il fondo esiste, ma è lettera morta” ammette.
Sospira sconfortata, Yamila, ma non ha intenzione di mollare la lotta: “Lo devo al mio bisnonno materno, Giovanni Zatira, che è stato un elettricista del Teatro Colón e amava così tanto la cultura e la musica da aver chiamato mia nonna Aida. E lo devo anche al ramo paterno, i Rambaldi, arrivati molto prima del ‘900, del quali abbiamo perso le tracce”. Una mobilitazione che pensa al futuro, alla città che vogliamo abitare. E al passato, alle radici, alla memoria di quello che siamo stati.