Un piccolo bonus per il governo, ma nessun raddoppio pre-elettorale. Solo i più ottimisti possono sperare ad un nuovo ritocco dei tassi d’interesse già il primo di aprile, nella prossima riunione della Banca centrale. Perfino la riduzione annunciata martedì scorso è arrivata con qualche dubbio da parte di alcuni economisti che l’hanno vista più legata alle aspettative e alle pressioni sempre più insistenti del mondo imprenditoriale e del governo stesso, che da vere e proprie convinzioni del direttivo della Reserve Bank (RBA). Un taglio di un quarto di punto quasi ‘imposto’ da fattori esterni, anche se Michelle Bullock non lo ammetterà mai, ma sarebbe stato indubbiamente più difficile non farlo che farlo.

La tentazione di aspettare ancora qualche conferma sul rientro dell’inflazione c’era, per non rischiare di dover fare quello che è stata costretta a fare la Banca centrale americana a causa di un ribasso affrettato dei tassi a cui ha fatto seguito una nuova correzione verso l’alto per respingere un rigurgito inflazionistico, ma alla fine la riduzione di 25 punti base è arrivata.

 Albanese non poteva permettersi un altro rinvio e Bullock non poteva deludere un intero Paese che aveva bisogno di qualche segnale positivo dopo 13 rialzi a partire dal 2022 e una prolungata pausa al 4,35% dell’interesse di riferimento che pesa enormemente sui budget famigliari e aziendali di milioni di australiani già stressati da un esorbitante costo della vita. La governatrice della Reserve Bank ha spiegato, come è tenuta  a fare dalle nuove ‘regole’ stabilite dall’amministrazione laburista, il perché dell’abbassamento dei tassi (segnali positivi sul fronte dell’inflazione), ma ha subito cercato di gettare acqua sul fuocherello delle speranze di altri interventi a breve, mettendo addirittura le mani avanti per possibili ripensamenti nel caso che l’inflazione non continui la sua discesa verso quel 2-3 per cento ritenuto ottimale per gli equilibri economico-finanziari del Paese. E non ha nascosto la variante extra, per ciò che riguarda la necessaria ‘lettura del futuro’, già abbastanza complicata in tempi normali, legata al fattore Trump, dei dazi e contro-dazi e delle decisioni che riguardano gli scenari non solo economici internazionali.

Per il governo Albanese, comunque sia, una buona notizia quella dell’altro ieri, giunta al momento giusto, tanto da poter sussurrare la parola svolta, dei sacrifici che cominciano a essere premiati che potrebbe farlo decidere di rinunciare a un altro budget (sempre in agenda per il 25 marzo) e giocare la carta delle urne già l’ultimo sabato di marzo, anche se il 5 o il 12 aprile rimangono – secondo molti osservatori – le date più probabili. 

Il bonus elettorale è arrivato e quello extra che potrebbe arrivare da Washington presenta troppi rischi, quindi, tanto vale fermarsi qui e approfittare di un attimo di positività che il ministro del Tesoro, Jim Chalmers, cercherà inevitabilmente di ‘gonfiare’, parlando di un voto di fiducia della RBA sulla conduzione economica del Paese. Qualcuno sicuramente apprezzerà quegli 80 dollari in meno (su un prestito di mezzo milione di dollari) che dovrà pagare mensilmente sul mutuo, anche se il ministro ombra del Tesoro Angus Taylor ha già aggiunto la postilla di una detrazione ‘minima e tardiva’ dai 1500 dollari al mese in più che lo stesso beneficiario di oggi è stato obbligato a pagare, dal 2022, con i 12 rincari anti-inflazione apportati durante l’amministrazione laburista.

Un sospiro di sollievo, ma pochi applausi, nonostante i tentativi che faranno Albanese e Chalmers di ritagliarsi qualche merito per l’inizio di quella che tutti si augurano sia davvero una inversione di tendenza. Non insisteranno troppo sul tema perché sanno che il 13 a 1 (il primo aumento era arrivato durante la campagna del 2022), tra rincari e riduzioni, non entusiasma più di tanto. Ma è comunque un ‘aiutino’ che il governo non poteva permettersi di non ricevere dalla RBA: sarebbe stato, infatti, politicamente disastroso un prolungamento della pausa. E anche se Peter Dutton l’avrebbe indubbiamente preferito, il leader dell’opposizione ha strategicamente preferito unirsi al coro del ‘se non ora, quando?’. Ovviamente non risparmierà le accuse di pressioni infinite di Chalmers nei confronti della Bullock, tanto più che nel direttivo della RBA c’è anche il segretario del Tesoro, Steven Kennedy.

Scontato anche che la Coalizione batterà il ferro dei ‘passi indietro’ degli standard di vita degli australiani dopo tre anni di governo laburista, che non sono di certo recuperati con quel quarto di punto in meno degli interessi o grazie agli aiuti, una tantum (300 dollari), sulle bollette energetiche. Per questo sentiremo a più riprese, durante la campagna elettorale, la domanda-slogan dello “state meglio o peggio rispetto a tre anni fa?”, che farà da solida base di partenza per l’offensiva di Dutton che, come Albanese, dovrà sempre tenere conto delle decisioni che possono arrivare ad aiutarlo o danneggiarlo da Washington. 

Un altro bonus per il leader di governo potrebbe arrivare, infatti, poco prima o addirittura durante la campagna elettorale, con l’eventuale esenzione, in via del tutto speciale, per l’Australia dei dazi su alluminio e acciaio: Albanese ne uscirebbe rafforzato per come ha tempestivamente - con la telefonata a Trump subito dopo l’annuncio delle nuove tariffe doganali - affrontato la ‘minaccia’ e risolto la situazione; se invece arrivasse una risposta negativa dalla Casa Bianca, ecco che il bonus elettorale passerebbe a Dutton, che si sentirebbe autorizzato ad attaccare il Primo ministro per non essersi recato di persona a Washington, come hanno invece fatto i capi di governo indiano e giapponese, per cercare di disinnescare la mina commerciale innescata dal presidente Usa. 

Una cosa è certa: il conto alla rovescia per l’inizio della volata elettorale è iniziato e la spintarella della Reserve c’è stata, come c’era stata tre anni quando, in piena campagna, era arrivato il primo rialzo dei tassi d’interesse dal 2010. Un bonus, sicuramente non sollecitato, per Albanese e un problema in più per Scott Morrison. Non certo determinante, ma tutto aiuta, esattamente come ora. 

Circostanze favorevoli da una parte, sfavorevoli d’altra, ma nessun favore perché - assicura Bullock - ogni decisione presa dal Consiglio direttivo si basa esclusivamente su una valutazione aggiornata delle prospettive di inflazione, della dinamica dell’inflazione di fondo e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria. Nessun vincolo poi su quello che succederà dopo, nessun particolare percorso preventivato dei tassi, ma considerazioni attente e costantemente aggiornate, qualche volta in linea con le aspettative e qualche volta no.