CARACAS – Nelle profondità della grotta Imawarì Yeutà, nel cuore dell’Auyán-tepui venezuelano (la montagna più imponente del mondo, nel cuore del parco di Cainama, nello Stato di Bolivar), un gruppo internazionale di ricercatori ha realizzato per la prima volta uno studio completo in situ sulle stromatoliti di silice, strutture estremamente rare e ancora poco comprese. 

Si tratta di strutture sedimentarie stratificate formate dall’attività di antichi microorganismi, in particolare cianobatteri, che nel corso di milioni di anni hanno intrappolato e cementato particelle minerali ricche di silice. Gli stromatoliti sono tra le  più antiche testimonianze di vita sulla Terra (risalgono fino a 3,5 miliardi di anni).

I cianobatteri (detti anche “alghe azzurre”, anche se non sono propriamente alghe) sono stati i primi organismi sulla Terra a svolgere la fotosintesi, cioè a usare la luce del sole per produrre energia e rilasciare ossigeno, fissanto l’anidride carbonica. Sono stati i primi organismi a produrre ossigeno in modo stabile, trasformando l’atmosfera primordiale e rendendo possibile l’evoluzione della vita complessa. Intrappolano sedimenti e favoriscono la precipitazione di minerali: in questo modo contribuiscono alla formazione degli stromatoliti. 

Il lavoro, pubblicato sulla rivista Biogeosciences, apre nuove prospettive per l’esplorazione di ambienti estremi, sulla Terra e oltre. Strutture di silice simili a quelle della grotta venezuelana sono infatti state osservate anche su Marte dal rover Spirit: se queste formazioni possano avere un’origine biologica resta un interrogativo aperto, ma strumenti compatti e trasportabili come quelli utilizzati dal team potrebbero un giorno fornire una risposta direttamente sul Pianeta Rosso.

Stromatolite della grotta di Auyan Tepui. (foto Vittorio Crobu/La Venta).

Le strutture oggetto dello studio sono stromatoliti di silice: formazioni rocciose composte da opale (silice amorfa), la cui crescita è generalmente associata all’attività di microrganismi fotosintetici. La loro presenza in un ambiente completamente buio e isolato come quello della grotta venezuelana rappresenta uno dei più affascinanti enigmi geo-microbiologici degli ultimi anni.

La ricerca è frutto di una spedizione del 2023 quando il team di studiosi italiani e venezuelani ha allestito un vero e proprio campo di ricerca all’interno della grotta, portando strumenti avanzati mai utilizzati prima in un contesto tanto remoto.

Fra le tecnologie utilizzate dai ricercatori dell’Università di Padova figurano una camera iperspettrale, che ha permesso di analizzare la composizione delle strutture di silice, e un laser scanner 3D con cui è stato possibile ottenere modelli ad altissima risoluzione delle formazioni.

I ricercatori dell’Università di Bologna hanno inoltre impiegato strumenti capaci di rilevare attività microbiologica direttamente in vivo, individuando cellule attive sulle superfici delle rocce. A completare il quadro, lo strumento MinION ha consentito di sequenziare il Dna, che è stato direttamente estratto ed analizzato in grotta, senza la necessità di trasportare campioni all’esterno.

“In questo lavoro abbiamo sviluppato, applicato e validato direttamente sul campo procedure microbiologiche per studiare le straordinarie strutture stromatolitiche di silice presenti nelle grotte quarzitiche dei tepui venezuelani – dice Martina Cappelletti, prima autrice dell’articolo e ricercatrice del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna –. Le nostre analisi hanno permesso di rilevare attività microbica e di identificare i principali batteri che potrebbero permettere lo sviluppo di queste strutture. Allo stesso tempo abbiamo dimostrato che è possibile effettuare analisi del Dna e studi microbiologici in tempo reale anche in luoghi estremi e isolati, rivelando nuovi aspetti del ruolo dei microrganismi nella formazione di stromatoliti in ambienti bui e quasi privi di nutrienti, come le remote e antiche grotte dei tepui”.

Il fatto che per la prima volta i ricercatori siano riusciti a studiare queste straordinarie strutture direttamente nel loro ambiente, senza prelevare campioni, è molto rilevante. “Questo approccio ci permette di comprendere meglio l’interazione tra geologia e microbiologia in condizioni estreme, con importanti ricadute per l’esplorazione planetaria», spiega Francesco Sauro, speleologo e ricercatore del dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova.

Il laboratorio allestito nella grotta. (foto Vittorio Crobu/La Venta)

Il gruppo di ricerca si è avvalso dei finanziamenti del Corso di Laurea triennale in Genomics dell’Università di Bologna, che ha fornito il sequenziatore portatile e i reagenti necessari per il sequenziamento del Dna, e del supporto di Miles Beyond Srl, che ha acquistato e messo a disposizione il laboratorio portatile Bento Lab.

La partecipazione allo studio da parte di Francesco Sauro si inserisce nelle attività sostenute dal progetto The Geosciences for Sustainable Development, finanziato dal Mur – Dipartimenti di Eccellenza 2023–2027.Grazie a questi fondi, il dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e il dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna hanno potuto sviluppare tecnologie innovative, formare team multidisciplinari e condurre missioni scientifiche in ambienti estremi, consolidando la leadership internazionale nello studio della geomicrobiologia e geomorfologia in ambienti estremi, aprendo nuove prospettive nella ricerca sugli analoghi marziani.