Cornetti portafortuna, sciarpe, magliette e riti scaramantici. Al Sullivan’s pub, nel barrio (quartiere) Palermo, dove si riuniscono i tifosi del Club Napoli di Buenos Aires, tutto è pronto per la partita contro il Milan.
Fondato nel 2013 da un giovane imprenditore partenopeo (oggi tornato in Italia), il club si propone come “unico gruppo ufficiale del Napoli in Argentina” e deve la sua esistenza al desiderio del suo creatore di vedere le partite della sua squadra del cuore in compagnia di persone che amano Napoli e che hanno voglia di divertirsi in armonia e senza mai perdere il buon umore. Nemmeno in caso di sconfitta, come il 4 a 0 inflitto dal Milan domenica 2 aprile.
Certo, la consapevolezza che questo risultato non avrà effetti sugli esiti del campionato, di fatto quasi già vinto, ha contribuito ad alleviare la delusione. Ma il Club Napoli resta in ogni caso un esempio di tifo sano e di fair play. Il classico ambiente dove i padri non hanno timore a portare i bambini. È il caso di Gaetano Salierno, accompagnato dai figli Vito (12 anni) e Mattia (10), compassato ingegnere elettronico durante la settimana, tifoso appassionato la domenica. “Qui ci divertiamo, è un posto adatto ai miei figli” spiega. E in effetti, malgrado la sala sia gremita, al suo arrivo tutti si stringono e si danno da fare per trovare un posto a sedere ai due ragazzi, perché riescano a vedere bene lo schermo. Enzo Trezza, amalfitano (ci tiene a sottolinearlo) cresciuto a Roma, vive a Buenos Aires dal 2015 e ricorda i primi anni del club. “Abbiamo iniziato con 8-10 persone, ora certe domeniche arriviamo quasi a 30 – dice –. Siamo diventati una famiglia, approfittiamo delle partite per festeggiare i compleanni, facciamo sempre una cena prima di Natale”. Momenti di convivialità preziosi per gli italiani all’estero perché, anche quando e il loro progetto migratorio può dirsi riuscito, la nostalgia è sempre lì, pronta a saltarti addosso.
Enzo è arrivato in compagnia delle figlie, Sofia e Martina, rispettivamente di 13 e 10 anni. E in effetti la presenza femminile nel club è vivace. C’è Filomena Provenzano, guida turistica napoletana a Buenos Aires da 7 anni, espatriata “per amore verso questa città – spiega –. Sono tifosa da sempre: da piccola andavo con mio fratello allo stadio, in curva B. E qui ho contagiato con la mia passione gli amici argentini”. Romina Blasta, 41 anni, chimica alimentare, è nata in Argentina, ma i suoi bisnonni erano italiani e uno di loro proprio campano. Nel 2011, dopo il suo primo viaggio in Italia, ha sentito il bisogno di cercare le proprie radici. Ha studiato la lingua, ha scoperto la cultura, è tornata in Italia altre due volte. Una sera, a un torneo di calcetto, ha vinto una maglietta del Napoli. Un segno del destino: doveva diventare tifosa.
L’atmosfera è amichevole, inclusiva. Tutti conoscono a memoria i cori della tifoseria e ai tavoli si sente parlare spagnolo, italiano e napoletano: “Callate!”, “Basta!”, “Statt’ zitt’!”. Il bersaglio delle invettive è il cronista della partita, accusato (a ragione) di essere troppo sbilanciato a favore del Milan.
Il club non ha istituzionalizzato una quota di ingresso e una tessera: chiunque è benvenuto alle riunioni. Argentini, italiani, viaggiatori occasionali di qualsiasi nazionalità che non vogliono vedere la partita da un’anonima stanza d’albergo. Marcelo Garofalo, addirittura, viene in macchina tutte le domeniche da La Plata, a circa 60 chilometri da Buenos Aires. Il cognome tradisce le radici campane, beneventine per la precisione, della famiglia. E lui non è certo uno che si fa spaventare dalle distanze. “Nel 2018 ero a Napoli e vidi l’ultima partita del campionato, contro il Crotone, che fu retrocesso in serie B – ricorda –. E ora, il 3 giugno, sarò di nuovo lì, per l’incontro contro la Sampdoria, che consacrerà il Napoli campione. Solo che oggi lo stadio non si chiama più San Paolo, ma Diego Armando Maradona”.
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