BRISBANE – L’Istituto di Cultura di Melbourne ha messo in palio un biglietto andata e ritorno per l’Italia anche per questa sesta edizione del Premio, organizzato dall’Ufficio Culturale dell’Ambasciata, in collaborazione con gli Istituti di Cultura.

L’iniziativa fa parte della serie di eventi organizzati nell’ambito della Settimana della Lingua Italiana, che quest’anno ha raggiunto la sua 21esima edizione. 

Al concorso vengono invitate a partecipare tutte le Università australiane in cui si insegna italiano, e in media sono una dozzina gli elaborati ricevuti dagli studenti, 1.500 parole al massimo sull’argomento della Settimana della Lingua Italiana che quest’anno era: Dante, l’italiano - I grandi maestri da Dante a oggi: spunti per una classe d’italiano. 

“Solitamente sono studenti eccellenti e molto motivati quelli che partecipano”, ci spiega Bruna Carboni, lettrice MAECI e Australian National University di Camberra, che prosegue: “Il brano vincitore ha particolarmente colpito i giudici per la sua originalità”. 

La vincitrice dimostra una grande dose di creatività e maturità di pensiero nel suo testo, incentrato sul tema della mancanza e dell’esilio che avrebbe profondamente condizionato la vita di Dante, capace di colmare i vuoti della propria esistenza attraverso la sua opera. 

La Divina Commedia sarebbe dunque uno strumento di realizzazione per Dante, ma allo stesso tempo anche un dono preziosissimo per tutti noi, poiché attraverso la sua opera più riuscita, il Poeta ci dona la lingua italiana. 

“Ho deciso di scrivere il mio testo su Dante anziché sulla Divina Commedia perché volevo pensare all'uomo che lui fu. Ho pensato come quest’uomo, cacciato dalla sua città, avesse scritto questa magnifica opera: è questo che mi ha colpito profondamente”. 

“Sono un’immigrata in Australia e conosco le implicazioni, le difficoltà che noi immigrati viviamo. Ho pensato quindi a Dante come a un emigrato che deve aver passato dei momenti difficili durante i suoi anni in esilio. Però queste difficoltà non l'hanno fermato”, spiega.

“Nonostante le difficoltà, l’amarezza dell’esilio, lui è riuscito a scrivere un’opera considerata tra le più geniali al mondo ed è diventato una vera ispirazione per tutti”, ci racconta Lissara Bergamaschi. 

Di origine italo-brasiliana è stata esposta all’italiano, al dialetto in particolare, fin da bambina, ma è nel 2017, durante il suo primo viaggio in Italia, che decide di studiare l’italiano e solo dall’inizio di quest’anno che è iscritta all’università al corso di Lingue e Linguistica.

Di quel primo viaggio in Italia Lissara ricorda l’emozione provata di fronte al Duomo di Milano: “Non ricordavo di aver mai visto qualcosa di così maestoso nella mia vita e alcune lacrime hanno cominciato a scendermi sulle guance”. 

“In quel momento ho capito che avevo fatto il sentiero inverso dei miei antenati che avevano attraversato l'oceano alla fine del 1800: adesso io ero in Italia”, aggiunge.

Per Lissara lo studio dell’italiano è “come aprire una nuova porta su un mondo pieno di nuove possibilità e scoperte”. 

“Parlare un'altra lingua è come giocare a un puzzle: è divertente e un esercizio per la mente. Mi fa anche capire meglio la mia lingua madre, il portoghese. Inoltre, permette di comprendere meglio le altre persone e rispettare le loro culture”, dice.

E per farlo legge libri, guarda film e video YouTube in italiano, cerca ricette in italiano: “Parlo perfino con me stessa in italiano”, conclude.

Con il biglietto vinto grazie al Premio Italia, Lissara sta progettando di fare uno scambio con un’università italiana per poter studiare Linguistica e approfondire così la conoscenza della lingua. 

Vi proponiamo qui di seguito il testo con cui si è meritata il primo posto della competizione.

Dalla mancanza alla salvezza, un monologo dell’anima

di Lissara Bergamaschi

Il palco è buio ed ha una sedia illuminata al centro. Il lanaiolo entra e si siede di fronte al pubblico, lo guarda e comincia a raccontare con un tono pensieroso.

Mi ricordo bene, era il maggio del 1265 e faceva già un po’ di caldo a Firenze. Nel cielo nessuna nuvola copriva le stelle che erano luminose come non si era mai visto, perfino per un uomo come me, che ormai ha visto tantissime notti diventare giorni. Quella stessa serata, andavo verso la Porta di San Piero a Firenze e mi sono fermato all’improvviso.

Ho sentito un pianto: solo i bambini quando sono appena arrivati su questa terra possono scoppiare in un pianto così incontenibile. Il neonato aveva il viso che appariva malinconico e pensoso, come quello delle statue e dei dipinti che lo avrebbero immortalato nel tempo.

Si chiamava Durante, Durante Alighieri, ma tutti lo chiamavano Dante. Conoscevo abbastanza bene gli Alighieri di Firenze. Il padre aveva mandato Dante a scuola per imparare la matematica e il latino, comunque quello che gli piaceva di più era la retorica.

Da bambino Dante era già interessato alla politica e per qualcuno come me, che lo conoscevo da sempre, non è stata nessuna novità che lui avesse seguito la strada di cui oggi sappiamo.

[cambia tono, come se volesse spiegare al pubblico una sua teoria] Ma io non sono qui per parlare soltanto della sua storia che moltissimi di voi probabilmente conoscete abbastanza bene.

Sono qui per raccontare dell’anima del nostro amato poeta, perché ho bisogno di rivelare a tutti quello che penso abbia contribuito alla nascita della Commedia e come è possibile, quando ci si sente sprofondare nel vuoto, riuscire a colmare questo senso di incompletezza. Tantissime volte è necessario reinventarsi, purificarsi, morire per nascere di nuovo.

[riprende a raccontare e ricordare la vita di Dante] In quel tempo, avevo la mia bottega di lana vicina alla casa degli Alighieri, era difficile non sapere quello che succedeva perché loro erano sempre nelle vicinanze. Mi ricordo una volta che il giovane Dante mi ha confessato che non vedeva molto suo padre e su questo mi piacerebbe soffermarmi un po’.

Suo padre gli aveva lasciato una eredità abbastanza grossa per poter vivere una vita confortevole senza la necessità di esercitare un mestiere con le mani, come quello che facevo io. Per fortuna a Dante i libri piacevano di più. A qualcuno può sembrare che questo rendesse a Dante la vita facile, ma io dico che questo non è tutto.

Il giovane Dante era cresciuto senza i suoi genitori, entrambi erano morti purtroppo presto e per questo motivo aveva sentito l’assenza dei genitori fin dall’infanzia. Senza volerlo, loro hanno lasciato a Dante il compito di essere il capofamiglia.

Lo vedevo sempre passare vicino alla mia bottega accompagnato dai figli dei magnati. Dante dava del tu ai figli dei nobili signori, era sempre intorno a cavalieri e scambiavano poemi d’amore. Insomma frequentava luoghi che suo nonno o suo padre non avevano potuto frequentare.

Infatti Dante non proveniva da una famiglia nobile, [come se dicesse l'ovvio] lo sapeva bene lui e lo sapevano bene tutti. Anche se aveva scritto sulla sua origine, Dante non era un cavaliere di Firenze, ed io sapevo che questa era una questione che gli causava fastidio. [pensieroso ed un po’ triste] Immaginate voi, cari spettatori, come sarebbe difficile sentirsi chissà inferiore ai propri amici.

E poi c’era anche la questione della sua musa ispiratrice, Beatrice, di cui lui si era innamorato, come diceva, a 9 anni quando l'aveva vista per la prima volta nel suo abitino rosso. Per Dante, lei era una donna irraggiungibile, un amore così platonico che non gli aveva impedito di sposarsi e costituire la sua propria famiglia, ma non per questo meno importante.

Ma ahimè la povera Beatrice è morta quando aveva appena 18 anni, giovanissima persino in quell'epoca. E benché Dante avesse sempre visto il suo amore per Beatrice non come una passione terrena ma come un ideale, questo deve essere stato un momento difficile per lui che avrà temuto di restare senza la sua musa ispiratrice. Per fortuna, non è stato così: Beatrice è rimasta viva per sempre nella penna di Dante.

[continua a raccontare come se si fosse dimenticato di menzionarlo prima] E non dimentichiamo il suo amore per la politica, gli piaceva molto farla, Dante si era spesso coinvolto nelle attività civili. Nel 1300, ha raggiunto l’apice della sua carriera politica, faceva parte del consiglio dei priori, un gruppo di sei persone che erano responsabili del governo di Firenze per due mesi.

Questa è stata una conquista veramente grandiosa per qualcuno che aveva scelto la politica come mestiere, anzi anche una sfida ugualmente enorme che gli sarebbe costata parecchio. Dante appoggiava i guelfi bianchi, della banca dei Cerchi, ma nel 1301 i guelfi neri hanno preso il potere. Dante si trovava dall’altra parte dell’arena politica e per questo ha sofferto una pesante persecuzione che un anno dopo sarebbe culminata col suo esilio.

[adesso si rivolge al pubblico] Pensate voi, a quel giorno in cui Dante era a Roma ed aveva ricevuto la notizia: [tono enfatico] “a Firenze non può più ritornare”. Senza dubbio questo è stato un altro fortissimo colpo per Dante, che è sempre stato talmente orgoglioso di essere un cittadino di Firenze.

La città gli apparteneva così come lui apparteneva ad essa, avendoci vissuto tutta la sua vita. All’improvviso, ha perso la sua cittadinanza che significava, per un uomo come lui, perdere un pezzo della sua identità. [con un tono triste] Dopo di questo, io non sono mai riuscito a vederlo.

[sorpreso e felice allo stesso tempo] Comunque, tanti anni dopo, ho cominciato a sentire le persone che parlavano di questo libro che è diventato così famoso, la Commedia! Con che piacere l’ho letta! Le parole di Dante suonavano alle mie orecchie come se fossero lette da lui, con la sua voce ed io ho finalmente capito l’importanza che tutti questi avvenimenti hanno avuto nella sua vita.

Lui era un uomo con cognome, ma non era nobile. Un uomo con una eredità ma senza i genitori. Un uomo con un amore così grande ed irraggiungibile che la morte gli aveva tolto. Un uomo che aveva servito la sua città e dalla quale è stato cacciato fuori. Tutta questa mancanza, questo senso di incompletezza, erano presenti nella sua vita, ciò nonostante, Dante ha fatto qualcosa di diverso con questi sentimenti.

[si rivolge al pubblico per svelare la sua scoperta] Ed è in queste circostanze, cari spettatori, che le persone grandiose si rivelano. Penso che solo grandi donne e grandi uomini possono trasformare le loro difficoltà, il loro vuoto, la loro sensazione di perdita in qualcosa di molto più sommo.

Dante, di fronte a questa mancanza, si rende conto che ancora aveva una salvezza, che poteva purificarsi attraverso la sua opera. Vagando per l’inferno, il purgatorio ed il paradiso in compagnia di Virgilio e Beatrice, è riuscito a ritrovare il sentiero una volta smarrito. Quasi che la scrittura della Commedia gli abbia permesso di riprendere tutto quello che, in un certo senso, aveva perso: la politica, la sua Firenze, le sue origini, la sua famiglia e il suo amore. Come se la sua avventura letteraria gli abbia dato la possibilità di rinascita.

[sembra incerto di quello che sta per dire] Non so perché Dio mi ha dato una vita così veramente lunga, ogni volta penso che sia per potere capire meglio quello che succede nella terra. È per questo che sono arrivato qui e condivido queste idee che crescono e si sviluppano nel mio interiore.

[si rivolge al pubblico con tono più sicuro] A me sembra che per Dante creare la sua letteratura sia stato come una guarigione; e tutto questo l’ha fatto usando “la lingua del sì”, il nostro dialetto fiorentino, che si è trasformato nella semente della lingua italiana. Ma vi rendete conto della grandezza di quest’uomo?

Mentre si riconcilia con sé stesso e colma i suoi vuoti, non solo raggiunge la sua pace ma ci dà la lingua, uno strumento di unificazione, di appartenenza, di identità, la nostra lingua italiana che, in tutto il mondo, è un simbolo del nostro paese e della sua gente.

[parla con convinzione] Dante, allo stesso tempo che trasforma la sua mancanza in arte, fa anche qualcosa di meraviglioso, come se guarendo sé stesso, guarisce un po’ tutti noi.

[parla al pubblico] Cari spettatori, sono pochi quelli che sono riusciti a sentire le loro ferite e trasformare queste in una grande opera che ispira tutti gli altri. Dante ci dà la lingua, ma anche un esempio di come vivere la nostra vita.

Non so se tutto questo vi ha coinvolto, ma così è il mio pensiero e non c'è bisogno di pensarlo allo stesso modo, magari sarebbe meglio avere idee diverse. [scende dal palco e va fra il pubblico e lo invita a seguirlo verso l’uscita]

Però oggi in questo momento, in memoria di Dante, vi invito a uscire ancora una volta a rivedere le stelle.