BRUXELLES – La roulette dei dazi si è fermata sul 15. Dopo settimane di trattative febbrili, bozze cestinate e botta e risposta da una sponda all’altra dell’Atlantico, la pallina ha smesso di correre: Bruxelles e Washington hanno trovato l’intesa su una tariffa del 15% per le importazioni europee oltreoceano.

Sulla scia dell’accordo firmato con gli USA dal Giappone - ma con il 5% in più rispetto all’intesa raggiunta da Londra e triplicando la media del 4,8% prima dell’accesso alla presidenza di Donald Trump - l’intesa europea lascia sul tavolo dell’inquilino della Casa Bianca anche una dote consistente di investimenti da incanalare negli Stati Uniti. Qui di seguito i punti principali.

Il cuore dell’intesa è l’aliquota doganale del 15%. Lo schema include la clausola della “nazione più favorita” (Mfn) - garanzia di parità e non discriminazione nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) - che stabilisce la tariffa media reciproca del 4,8% nel commercio transatlantico, valida nel pre Trump.

Nessuna concessione per i metalli industriali, acciaio e alluminio: i dazi statunitensi del 50% restano in vigore. 

Un pugno duro già visto nel 2018, quando Trump applicò tariffe rispettivamente del 25% e 10% ai comparti, provocando una reazione a catena: le contromisure continentali per 2,8 miliardi di euro (2,6 miliardi di franchi al cambio attuale) colpirono prodotti simbolici come il liquore bourbon, i jeans Levi’s e le motociclette Harley-Davidson. Andrà meglio all’industria automobilistica sostenuta dalla pressione costante delle ammiraglie tedesche. Il settore, inclusa la filiera della componentistica, strappa un allentamento del dazio al 27,5%, con l’armonizzazione alla soglia del 15%.

Una tariffa ancora robusta, ma che ridà ossigeno a uno dei comparti più strategici per le esportazioni continentali.

L’aliquota flat si estende anche alla filiera agroalimentare assorbendo i dazi preesistenti: in alcuni casi - come per i prodotti lattiero-caseari e l’olio extravergine d’oliva italiano - si arriva a un impatto nullo. Diverso il destino del vino che, salvo un’esenzione ancora da confermare, rischia un incremento dei dazi rispetto all’attuale soglia del 2,5%.

Anche il comparto sanitario - farmaci, vaccini e dispositivi essenziali - e i semiconduttori si fermano a quota 15, senza tuttavia essere al riparo.

Trump si è già detto intenzionato a introdurre dazi progressivi sui due settori a partire da agosto e, per i farmaci, non ha escluso l’ipotesi di arrivare alla cifra del 200%.

A festeggiare i dazi zero sono alcuni dei settori più sensibili e ad alta intensità tecnologica: aerei civili, robotica avanzata e macchinari industriali. In particolare, l’industria aerospaziale - storicamente segnata dal contenzioso tra il colosso franco-europeo Airbus e l’americana Boeing - beneficia di un tacito accordo di non belligeranza. Anche liquori e alcool potrebbero essere risparmiati.

Bruxelles riconoscerà alcuni standard tecnici statunitensi nell’industria automobilistica. Spazi di flessibilità, seppur calibrati, si estenderanno alla tecnologia, intelligenza artificiale e criptovalute.

Sul piatto statunitense anche il rafforzamento dell’impegno europeo negli acquisti di armamenti a stelle e strisce - già delineato nell’intesa sul 5% nell’ambito della Nato - accompagnato da 600 miliardi di dollari di investimenti oltreoceano e 750 miliardi in forniture energetiche americane, gas naturale liquefatto in testa, nei prossimi tre anni.