Musica e 50 anni di canzoni tra le quali pescare. E allora non c’è spazio per gli orpelli, per il di più. Anche gli schermi non sono poi così tanto maxi, perché Antonello Venditti e Francesco De Gregori per il debutto del loro primo tour insieme, al via inevitabilmente dallo stadio Olimpico della loro Roma, sono andati al sodo. All’essenza del loro rapporto: amicizia, sette note e un repertorio quasi inesauribile di successi che reclamano il loro spazio. Da tempo hanno messo via incomprensioni e attriti per tornare quei ragazzi che all’inizio degli anni Settanta muovevano i primi passi al Folk Studio. Un appuntamento, quello tra tra i due cantautori, atteso da più di due anni: “E’ passato un po’ di tempo, ma ce l’abbiamo fatta. Ed è bellissimo: ce la godiamo tutta!”.
Dopo l’apertura con “Also sprach Zarathustra” di Johann Strauss (che Stanley Kubrick utilizzò per “2001: Odissea nello Spazio”), si inizia con quello che è un po’ il manifesto del progetto: “Partirono in due ed erano abbastanza...”, l’incipit di “Bomba o non bomba”. E poi i successi di entrambi, da “La leva calcistica della classe ‘68” a “Bufalo Bill”, passando per “Peppino”, “Sotto il segno dei Pesci”, “Generale”.
Il Principe e Cicalone incrociano le loro voci, sono al servizio uno dell’altro, si scambiano favori, consapevoli che un capitolo di storia della musica italiana è passato per l’Olimpico, che con loro ha riaperto le porte alla musica dopo la pandemia.
Dopo “Dolce signora che bruci”, dall’unico album registrato insieme nel 1972 “Theorius Campus”, c’è spazio anche per cantare da soli per una manciata di pezzi: “Alice”, “Sangue su sangue”, “Santa Lucia”, “Rimmel” e “Titanic” per De Gregori che si cimenta con la chitarra; “Ci vorrebbe un amico”, “Sara”, “Notte prima degli esami”, “Giulio Cesare”, “Alta marea” per Venditti, che spesso si siede al piano. Insieme rendono omaggio all’amico Lucio Dalla (con cui De Gregori condivise l’esperienza di “Banana Republic” nel 1979) con “Canzone”. Dopo più di due ore e mezzo, dopo la commozione di Venditti mentre intona “Sempre e per sempre”, dopo “Roma capoccia”, arrivano i bis, tra “Ricordati di me” e “Viva l’Italia” si chiude con “Buonanotte fiorellino” e “Grazie Roma”.
I primi passi al Folk Studio di Roma all’inizio degli anni Settanta, un disco insieme nel 1972, poi i dissapori, gli attriti, le scuse in musica, gli allontanamenti e di nuovo la vicinanza, le carriere parallele tornate solo da poco a essere convergenti. Nemiciamici Antonello Venditti e Francesco De Gregori. Anzi, di più. “Dopo essersi interrotto, ora il nostro rapporto si è compiuto. E ci possiamo mandare a quel paese da amici e non per interposta persona. Siamo fratelli, e la fratellanza non può interrompersi mai”, dicono complici nel giorno in cui è partita la loro prima tournee insieme in 50 anni di carriera.
“Per la scaletta abbiamo abbiamo seguito una sceneggiatura - raccontano - quella della nostra vita. ‘Partirono in due ed erano abbastanza’, cantiamo in ‘Bomba o non bomba’ e siamo noi. L’obiettivo è fare festa: il nostro repertorio è il carburante, abbiamo portato le salsicce buone per fare barbecue”. Il concerto, spiegano i due artisti con una complicità non comune, “è un’unica grande canzone. E’ il concerto di uno, anche se siamo in due”.
A dividerli solo la visione di ciò che oggi rappresentano, loro cantautori di un altro mondo, nel panorama di una musica sempre più liquida e dominata da rap e trap. “Siamo dei sopravvissuti, ma auguro alle nuove generazioni di sopravvivere tra cinquant’anni come noi”, è la posizione del Principe. “Ma quale sopravvissuto - replica piccato Antonello - siamo un fiume in piena, mi sento creativo, con tanta voglia di fare anche più di prima”.
Il concerto, dicono convinti, “è unico. Senza riferimenti ad altri show, diverso da quelli cui siamo abituati dove tutto è già visto. Avessimo potuto non avremmo messo neanche i maxischermi. La quantità si vede, ma la qualità si sente”.
Il progetto prima di un concerto a Roma, poi di un tour a seguire, ha iniziato a prendere forma quattro anni fa, poi il rallentamento dovuto al COVID-19. “Ma i tempi sono giusti ora. E lo dimostra anche l’interesse di chi sta comprando i biglietti. Quello che stiamo facendo è una cosa abnorme. E dissacrante, ma non siamo qui per dimostrare nulla se non per cantare per noi stessi e per il pubblico - spiega Venditti che racconta di sentirsi molto diverso dal Venditti del Circo Massimo dai 500.000 spettatori a sera -. A nessuno dopo cinquant’anni è mai capitato di compiere quello che non aveva compiuto prima. Una cosa ben strana”. “Strana, ma vera”, sottolinea sornione De Gregori con quel tipico aplomb che negli anni gli ha consegnato il soprannome di Principe. E’ lui a smussare le intemperanze dell’amico, più verace e viscerale. In questi mesi di lavoro a stretto contatto si sono riscoperti. A livello personale, ma anche musicale.
“Le canzoni dell’uno fanno parte della vita dell’altro. Come i successi. E’ inevitabile”. Dal concerto hanno deciso di lasciar fuori la guerra. “Non posso ignorare che ci sono persone ce stanno morendo. La guerra è un fatto brutale, ma non ci deve essere per forza una canzone a parlarne, come non c’è bisogno di sventolare bandiere. E’ demagogia. Anche per questo abbiamo deciso di evitare qualsiasi immagine. Non si può sempre fare attualità”, spiega Venditti che poi si dice più “filosofo”: “Ora sono in grado di godermi ogni momento della mia vita. Non ho rimpianti, né rimorsi. Sto qui e me la godo”. Dopo Roma, il tour attraverserà l’Italia tutta l’estate (con una nuova data annunciata a Verona per il 5 ottobre).